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Dalla multicultura
allintercultura: Clara Silva, Educazione interculturale: modelli e percorsi,
Edizioni del Cerro, Tirrenia (PI), 2002, pp. 204, 14,50
"Lintercultura si pone
dunque una domanda: quella relativa a quale modello di uomo e di cittadino occorre oggi
formare. Domanda a cui ne è connessa una seconda, circa la dimensione che tale soggetto
è chiamato a vivere. Quella locale? Quella nazionale? Quella europea? Oppure quella
planetaria?"
Il costante aumento di allievi figli di
immigrati nella scuola italiana, esige una ridefinizione delle strutture scolastiche sia
da un punto di vista burocratico che didattico, la messa a punto di un paradigma
pedagogico inedito per la nostra realtà formativa, caratterizzata fino a pochi decenni fa
da una certa omogeneità linguistica e culturale degli allievi. Ci troviamo di fronte a
classi multiculturali nelle quali dobbiamo attuare una didattica interculturale, ma che
cosa significhino veramente questi due aggettivi lo si dà in genere per scontato.
In effetti multiculturale e interculturale
sono due termini spesso usati come sinonimi, ma in realtà non sono equivalenti, anzi fra
i due esiste una differenza tale da connotare due approcci diametralmente opposti verso la
questione dellintegrazione degli immigrati e dei loro figli nel paese di approdo.
Multiculturale è infatti quella comunità (nazionale, scolastica, sociale) in cui sono
presenti più popoli o etnie che tuttavia rimangono separati fra di loro, ognuno nella
propria zona fisica e culturale e che raramente entrano in contatto; interculturale
definisce invece un contesto relazionale in cui i vari gruppi linguistici e culturali
stabiliscono fra di loro un costante rapporto dialettico di arricchimento reciproco
fondato sul mutuo rispetto, sullinteresse per ciò che laltro
rappresenta o può rappresentare.
A ben guardare, le società multiculturali
sottendono il forte etnocentrismo del gruppo dominante, che propugnando
lomologazione al proprio modello, cerca di assimilare le differenze, fino a
cancellare o almeno rendere invisibile ogni manifestazione di alterità. In questo
caso il contatto fra le varie etnie spesso si risolve in conflitto piuttosto che in
dialogo perché in un gruppo emerge il desiderio di non soccombere culturalmente e questo
può essere manipolato da leaders carismatici e senza scrupoli, pronti a sfruttare
la rabbia e la frustrazione che serpeggiano nella comunità, per scopi tuttaltro che
leciti. Al contrario, nelle società interculturali il gruppo dominante è il gruppo
accogliente che individua e promuove strategie di incontro fra le culture in modo da
creare occasioni positive di conoscenza reciproca e da valorizzare le differenze presenti
al suo interno. In questo contesto il contatto fra le varie etnie è costante e produce un
sistema di relazioni e di valori che si definisce proprio attraverso il confronto positivo
fra le varie realtà culturali.
Questi sono solo alcuni dei concetti-chiave
che vengono analizzati in Educazione interculturale: modelli e percorsi, il libro
ancora fresco di stampa di Clara Silva, pedagogista esperta in intercultura
dellUniversità di Firenze. Partendo da una panoramica sulla storia e lorigine
dei movimenti migratori a livello planetario, lautrice mette in luce le
responsabilità storiche dei paesi del Nord del mondo e quindi ci dà subito la dimensione
della situazione che viviamo quotidianamente: non unemergenza esclusiva del nostro
paese e della nostra epoca, ma una realtà che interessa e ha interessato tutte le aree
economicamente ricche del mondo, che ovviamente esercitano una forte attrattiva sui popoli
del Sud del pianeta, economicamente più svantaggiati, a più riprese sfruttati e
impoveriti. Il ruolo del gruppo dominante non può quindi essere ancora una volta
improntato allutilitarismo, come accade o è accaduto in altri paesi europei le cui
politiche in materia di immigrazione rivelano la tendenza a considerare i lavoratori
stranieri e di conseguenza le loro famiglie come una presenza temporanea
tollerata a causa della pressante necessità economica di reperire manodopera per
attività a cui gli autoctoni non vogliono più dedicarsi. Nel corso del libro si
chiarisce in modo inequivocabile che il ruolo che noi italiani dobbiamo assumere nei
confronti degli immigrati si caratterizza invece in base alla consapevolezza di
condizionare la vita delle minoranze, il cui benessere dipende dalle nostre scelte,
talvolta anche dalla nostra volontà di non scegliere e di non prendere posizioni. Il che,
in una prospettiva più ampia, a livello sociale, di convivenza civile, ha risvolti che
interessano tutti autoctoni e immigrati perché una società formata da
gruppi che non hanno imparato a conoscersi e ad apprezzarsi per quello che sono, a lungo
andare produce tensioni che non giovano a nessuno.
È in questa prospettiva che si evidenzia il
nuovo compito della scuola come agenzia educativa. Compito che emerge fondamentale nella
formazione di individui in grado di vivere e interagire positivamente in una società
multiculturale e che proprio per questo deve basarsi sulleducazione interculturale.
In questo senso i due aggettivi che abbiamo discusso sopra devono essere tenuti separati:
il primo connota infatti lassetto di superficie della nostro mondo, mentre il
secondo indica il tipo di intervento eminentemente educativo da attuare per preparare a
livello profondo quello che interessa la morale e i valori - i futuri cittadini di
questa nuova compagine sociale. Solo attraverso leducazione interculturale si potrà
raggiungere lobiettivo di costruire una società interculturale. Sebbene questo
compito non debba essere demandato alla sola istituzione scolastica (lintercultura
ha bisogno, per esempio, di essere promossa e sostenuta anche da opportune scelte
politiche), la scuola si trova in una posizione cruciale proprio perché rappresenta uno
dei più importanti crocevia di razze e culture del nostro mondo ed è chiamata
quotidianamente a sciogliere emergenze relazionali e didattiche che troppo spesso sono
state risolte solo grazie alla buona volontà degli insegnanti.
Il saggio di Silva si propone quindi come un
utile strumento di riflessione a tutti coloro che come educatori cercano risposte
operative per la gestione di gruppi plurilingue e multiculturali. Senza proporre ricette
magiche, la lettura del testo mette al contrario in crisi la visione concettuale
delluomo occidentale, aprendola alla scoperta e allaccettazione di nuovi
sistemi culturali e preparandola allincontro con laltro, con il diverso,
disponendo così leducatore ad assumere quellatteggiamento di apertura che
prima di tutto gli sarà indispensabile nello stabilire latmosfera più appropriata
allinterno del gruppo in cui si troverà ad operare.
Attraverso lesposizione di recenti
ricerche in campo pedagogico, filosofico e biologico, lautrice sottolinea fra
laltro che leducazione interculturale si rivolge prima di tutto agli
autoctoni, i primi ad avvertire il bisogno di capire i loro compagni alloglotti. Questo ci
ricorda subito il disorientamento dei nostri allievi italofoni allarrivo in classe
di un alunno straniero, quel misto di curiosità e di diffidenza con cui sempre guardano
il nuovo arrivato, di cui spesso non solo non capiscono la lingua, ma neanche gli usi e i
costumi. Come potranno accettare e integrare il coetaneo straniero, se non sono in grado
di entrare in contatto con lui? Le pedagogia interculturale dunque non deve limitarsi alla
pedagogia speciale attuata per gestire lemergenza né deve attenersi a un modello
compensatorio per aiutare gli allievi immigrati ad assumere il modello dominante, ma deve
rivolgersi a tutta la classe e deve partire dallinsegnante-educatore, anzi
dallintero corpo degli operatori scolastici.
Nel corso di questa disamina teorica ci
imbattiamo poi nellassunto desunto dai moderni studi in campo biologico - che
"in natura la differenza è la regola piuttosto che leccezione" e questo
ci porta a domandarci perché leterogeneità delle nostre classi ci spaventi tanto
se riflette lordine naturale, ma poi, riflettendoci sopra, ci accorgiamo che la
nostra nostalgia per la vecchia e sicura omogeneità del passato rispecchia solo
unillusione sostenuta dal desiderio di ridurre tutto e tutti a uno stesso modello.
In un paese linguisticamente e culturalmente variegato come il nostro, lomologazione
appare più che mai un ideale inadeguato e inattuabile che non può soddisfare le esigenze
formative di una popolazione scolastica che sembriamo averlo dimenticato con fin
troppa facilità ha già dovuto fare i conti con le migrazioni interne, per esempio
quelle dal Sud al Nord industrializzato.
Il paradigma educativo che lautrice
propone si rifà allermeneutica e al decostruzionismo, termini che a prima vista
possono spaventare i non addetti ai lavori, ma che, attraverso la scomposizione e
lanalisi del sistema culturale e valoriale occidentale, offrono semplicemente un
quadro teorico di riferimento completamente pervaso da un intenzionalità etica,
critico rispetto al modello esistente, questultimo non più dato per scontato, il
che si risolve infine nella capacità di decentrarsi, di non arroccarsi più sulle proprie
posizioni di supposta supremazia, per esplorare i margini e trovare nuove indicazioni
operative. Questo porta, solo per citare un esempio, a riconoscere la prospettiva
unidirezionale dei nostri curricoli scolastici, basati sulla sola visione
nazional-occidentale del sapere e a rendersi conto di quanto questo possa sottilmente
incoraggiare la discriminazione e di conseguenza favorire linsuccesso scolastico con
tutto ciò che questo significa in termini di disagio e devianze giovanili. Presentando
una tradizionale lezione diciamo - di Storia in una classe plurilingue, spesso ci
accorgiamo che gli allievi immigrati, pur avendo una discreta competenza linguistica,
presentano difficoltà di comprensione apparentemente inspiegabili, che probabilmente
potrebbero essere risolte offrendo una visione disciplinare che tenga conto del loro punto
di vista.
I modelli finora attuati e di cui Silva
rende conto nel terzo capitolo, purtroppo sembrano in varia misura ancora lontani dal
realizzare una vera e consapevole pedagogia interculturale; tuttavia il conoscerli ci
aiuta a renderci conto di quanto ancora si può fare e della direzione da dare al nostro
operato: la scuola, come maggiore agenzia formativa, deve aprire i propri bastioni
culturali e ideologici per confrontarsi e integrarsi con lalterità che gli alunni
stranieri rappresentano, ma al tempo stesso deve aprire anche le proprie porte fisiche
verso lesterno perché leducazione interculturale si realizza anche in
sinergia con altre istituzioni e associazioni presenti sul proprio territorio.
Infine, come insegnanti di lingua, ci piace
ricordare che la competenza interculturale, componente indispensabile della competenza
comunicativa a cui tendono tutti i curricoli linguistici contemporanei, fra persone che
non condividono la stessa lingua e cultura materne, presuppone prima di tutto la
disponibilità reciproca ad andarsi incontro e a negoziare i significati culturali che la
lingua veicola. In questa prospettiva nessuno dei parlanti deve adeguarsi al sistema
dellaltro, al contrario ognuno e soprattutto il nativo rispetto al non-nativo
deve essere disponibile a trovare un terreno comune per far sì che la
comunicazione si realizzi a pieno. Se da un lato è praticamente impossibile insegnare una
completa competenza interculturale per lenorme varietà di situazioni in cui essa
può manifestarsi, dallaltro si può invece educare alla disponibilità comunicativa
attraverso strategie didattiche che favoriscano linstaurarsi di una mentalità
aperta ai punti di vista che potrà essere di grande aiuto per lacquisizione di una
vera competenza interculturale. Il che, in ultima analisi, non può che tornare utile
anche agli allievi autoctoni, che si preparano a vivere nellera
dellunificazione europea e della globalizzazione: non più solo cittadini di uno
stato nazionale, ma di una federazione di stati e in ultimo del mondo intero.
Fiorenza Quercioli
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