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Redazione:
Mariadonata Costantini  Elisabetta Jafrancesco  Leonardo Gandi
Massimo Maggini
Fiorenza Quercioli
Camilla Salvi
Annarita Zacchi

Webmaster: Leonardo Gandi

QUADRIMESTRALE A CURA DI

N. 5
gennaio-aprile 2003
numeri precedenti

Insegnanti Italiano Lingua Seconda Associati


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L'incontro-scontro fra Saymir e Luca: tutti perdenti, nessun vincitore

L’episodio qui sotto riportato è stato narrato a chi scrive da un gruppetto di insegnanti che hanno assistito allo svolgersi dei fatti da attoniti testimoni oculari, paralizzati da una situazione inedita a cui non sono riusciti a reagire sul momento. Il motivo dichiarato per cui hanno preferito affidare a un’estranea questa loro testimonianza ha a che fare con il sentimento di frustrazione e di rammarico che nel tempo li ha portati prima a cercare una spiegazione per quello che era successo nella loro scuola, e poi a chiedersi in che modo sarebbero potuti intervenire invece di rimanere immobili al loro posto, lasciando la gestione dell’intera questione completamente nelle mani di un collega, che spontaneamente aveva preso l’iniziativa e che dal canto suo, lo vedremo fra poco, se l’è cavata come ha potuto.

In una mattina come tante altre, in una scuola media come tante altre sul territorio nazionale, durante l’intervallo fra la prima parte e la seconda parte delle lezioni, all’improvviso scoppia una lite fra due allievi di una terza classe. Attratti dal trambusto prodotto dei due litiganti, nell’improvviso silenzio, si avvicinano compagni e docenti che casualmente si trovavano nei pressi di quell’ala dell’istituto, si raccolgono intorno ai due contendenti cercando di capire che cosa stia succedendo, quale sia stata la causa scatenante del litigio; gli studenti osservano muti la scena, i docenti - particolarmente quelli che insegnano nella classe di appartenenza dei due ragazzi - si preparano ad intervenire.

Fin qui, dunque, niente di strano: una discussione un po’ più "animata" fra adolescenti di sesso maschile non è certo una cosa di cui preoccuparsi, sono cose che possono succedere e gli insegnanti sanno come fronteggiarle. Con tutta probabilità, la situazione si evolverebbe e si concluderebbe come da copione, come tante altre volte nel passato e tante altre nel futuro, se uno dei protagonisti non fosse un giovane albanese di un paio di anni più grande dei suoi compagni di classe, arrivato in quella terza media circa un anno prima e, come purtroppo accade a tanti suoi coetanei connazionali, tuttora guardato con una certa diffidenza e mai del tutto integrato nel gruppo dei compagni. Quello che Saymir (questo è infatti il nome – fittizio – del ragazzo albanese) ci aiuterà a capire, a sua stessa insaputa, è che gli stereotipi possono sconfinare in pregiudizi senza possibilità di appello.

Nel gruppo di persone che si sono raccolte intorno ai due contendenti si trova un insegnante della loro classe che è allertato da uno strano luccichio che proviene da una delle mani di Saymir; mentre infatti quest’ultimo sventola minacciosamente proprio quella mano sotto gli occhi di Luca (un altro nome fittizio per il secondo ragazzo, italiano, al centro della lite), l’insegnante si scaglia contro il giovane albanese afferrandolo al polso. Gli basta appena un’occhiata per rendersi conto terrorizzato che ciò che scintilla sulla mano di Saymir è un pugno di ferro, un attrezzo utilizzato da chi ha intenzione di picchiare molto forte l’avversario, uno strumento di offesa personale: su questo non c’è dubbio.

L’insegnante blocca allora Saymir, allontana Luca – che si dirige verso la classe circondato dai compagni - e chiede l’intervento dei Carabinieri. I militari dell’Arma arrivano alla scuola con una certa solerzia e, verificati i fatti, se ne vanno poco dopo portando Saymir con loro, nella locale caserma.

Saymir non si presenterà a scuola il giorno dopo e neanche quello dopo ancora. Per alcuni mesi nessuno avrà più sue notizie; si rifarà vivo solo alcune settimane prima della fine della scuola, sperando in un’improbabile ammissione agli esami di licenza, che naturalmente neanche gli insegnanti più ben disposti possono concederlgli, visto l’enorme numero di assenze. L’allievo lascerà quindi definitivamente l’istituto senza aver sostenuto l’esame di terza media.

A prima vista un caso di abbandono scolastico in cui evidentemente la famiglia dell’allievo non interviene molto, perché nessuno dei genitori si presenterà per discutere la situazione con i docenti, anche se il fratello minore continua a frequentare regolarmente le lezioni nella stessa scuola.

Tuttavia, come accennato in apertura, la cronaca di questo spiacevole fatto ha spinto gli altri insegnanti presenti il giorno dell’incontro-scontro fra Luca e Saymir ad una riflessione sull’accaduto, li ha portati a chiedersi se e in che misura la nazionalità di origine di Saymir possa aver avuto un peso sull’evolversi degli avvenimenti, se qualcosa sarebbe stato diverso se lo stesso oggetto contundente fosse comparso fra le mani di un allievo autoctono. Questi insegnanti hanno anche scrupolosamente cercato di capire, interrogando gli altri compagni di classe, cosa avesse scatenato la rabbia del giovane albanese per verificare se la sua reazione fosse frutto di una provocazione o fosse nata da una semplice predisposizione alla violenza – che certo la scuola non può tollerare – come qualcuno sembrava ritenere.

Si è così scoperto che da diversi giorni e in più occasioni Saymir era stato preso in giro da Luca e dai suoi amici, il che è abbastanza comune fra ragazzi, ma il primo aveva anche fatto più volte notare di non gradire gli scherzi, che sembravano metterlo in ridicolo di fronte agli altri compagni. I ragazzi, si sa, possono essere molto pesanti nei confronti dei loro coetanei, talvolta persino crudeli inventando per esempio soprannomi che mettono in risalto i punti dolenti dei loro compagni, senza farsi il minimo scrupolo di usarli davanti ai malcapitati, e quello che sembra sia stato alla base dell’incidente fra Luca e Saymir deve essere stato proprio qualcosa di questo tipo. Come tutto questo sia stato recepito e interpretato da un ragazzo appartenente ad una cultura diversa è però il punto su cui ci si deve soffermare.

Nella cultura albanese un ragazzo di quindici anni, che per noi italiani è ancora, suo malgrado, quasi un bambino, viene considerato ormai un uomo e come tale deve sapersi far rispettare: nessuno deve permettersi di esporlo alle risa dei pari e perché questo avvenga deve mostrare la sua forza, deve incutere timore. Un atteggiamento da bullo di periferia, certo non nuovo neanche nella cultura italiana, sia del passato che del presente, ma per il nostro protagonista deve essere stata una questione davvero importante e da sistemare una volta per sempre.

In un paese, come l’Albania, in cui manca una vera forma di autorità, in cui la società civile si è completamente disintegrata con la caduta del regime comunista, nel cui vuoto istituzionale a fatica trovano spazio forme stabili di democrazia, la sola legge che conti davvero è quella del più forte, a tutti i livelli e in tutte le situazioni. Da qui a ritenere lecito l’uso della violenza nella risoluzione dei casi personali, il passo è breve: persino i mediatori culturali albanesi ammettono che, particolarmente fra uomini, l’uso di oggetti contundenti e coltelli è una prassi in casi di liti e queste spesso si scatenano per i motivi più futili, in genere legati a una forma di "onore" e di "dignità" personali che devono essere visibili e riconosciuti da tutti.

Saymir si presenta quindi a scuola con il pugno di ferro in tasca, pronto a tirarlo fuori di fronte alla prima facezia detta contro di lui. Vorrà veramente usare l’oggetto contro Luca? Forse sì, forse no; di sicuro vuole fargli paura, perché vuole che cessino gli scherzi nei suoi riguardi, vuole che sia salva la sua immagine di sé di fronte agli altri, ma soprattutto di fronte a se stesso.

La domanda a cui bisogna trovare una risposta è però un’altra: cosa avrebbe fatto l’insegnante intervenuto a sedare la lite, se al posto di Saymir ci fosse stato un ragazzo italiano, magari lo stesso Luca? Avrebbe lo stesso chiamato i Carabinieri o avrebbe cercato di farsi consegnare il pugno di ferro e avrebbe accompagnato il violento in Presidenza? Stando all’esperienza pluriennale degli altri insegnanti, di fronte ad episodi di violenza o di minaccia fra gli allievi, la questione era stata sempre risolta all’interno dell’Istituto, finendo, nei casi più gravi, proprio al cospetto del Preside, che dava una sospensione.

Perché dunque il loro collega ha deciso di chiamare la forza pubblica? L’insegnante in questione sembra essersi mortalmente spaventato perché temeva un esito cruento, vagamente preannunciato dalla cattiva fama che aleggia intorno agli immigrati albanesi: tutti un po’ delinquenti, in fondo, spietati anche fra di loro, figurarsi con gli italiani!

Stereotipo o pregiudizio? Va detto, a questo punto, che l’area in cui si trova questa scuola media è densamente popolata da immigrati albanesi, per cui anche nelle scuole locali la presenza di alunni di questa nazionalità è piuttosto alta; quanto – e a che livello - questa etnia sia entrata veramente in contatto con gli autoctoni, rimane ancora in dubbio.

Nessuno si è sentito di negare il fondamento di verità su cui si basa il giudizio negativo sugli albanesi, per il quale le brevi note culturali che abbiamo riportato sopra non vogliono essere una giustificazione, ma un semplice tentativo di interpretazione. In molti hanno però sottolineato che anche gli immigrati italiani erano ritenuti (e talvolta lo sono ancora oggi) tutti, e senza distinzione, mafiosi ed erano discriminati per questo, tanto che gli italiani in molti casi cercavano di non trasmettere la loro lingua madre ai propri figli. Significativamente non è nuovo nelle nostre scuole il caso di alunni albanesi che rifiutano di parlare la loro lingua madre persino con i connazionali arrivati dopo di loro in classe e che dichiarano di non voler tornare mai più nel paese di origine.

Ma un ragazzo di quindici anni, da un anno arrivato in un paese straniero che in molti casi gli si mostra ostile, non avrebbe avuto almeno diritto ad avere una prova di appello? Non meritava che si appurasse la verità dei fatti, che si tentasse una mediazione per arrivare certamente a una punizione, ma di un tipo più costruttivo per lui e per i suoi coetanei autoctoni?

Il messaggio che l’istituzione scolastica sembra aver fatto passare è che lo straniero è un diverso da allontanare come un pericolo immanente. Questo non ha aiutato Saymir a conseguire la licenza media e neanche i ragazzi nativi a capire la complessa società multietnica che si va delineando nel nostro paese.

Fiorenza Quercioli

Email flo@technet.it

 

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