L'incontro-scontro fra Saymir e
Luca: tutti perdenti, nessun vincitoreL’episodio
qui sotto riportato è stato narrato a chi scrive da un gruppetto di insegnanti che hanno
assistito allo svolgersi dei fatti da attoniti testimoni oculari, paralizzati da una
situazione inedita a cui non sono riusciti a reagire sul momento. Il motivo dichiarato per
cui hanno preferito affidare a un’estranea questa loro testimonianza ha a che fare
con il sentimento di frustrazione e di rammarico che nel tempo li ha portati prima a
cercare una spiegazione per quello che era successo nella loro scuola, e poi a chiedersi
in che modo sarebbero potuti intervenire invece di rimanere immobili al loro posto,
lasciando la gestione dell’intera questione completamente nelle mani di un collega,
che spontaneamente aveva preso l’iniziativa e che dal canto suo, lo vedremo fra poco,
se l’è cavata come ha potuto.
In una mattina come tante altre, in una scuola
media come tante altre sul territorio nazionale, durante l’intervallo fra la prima
parte e la seconda parte delle lezioni, all’improvviso scoppia una lite fra due
allievi di una terza classe. Attratti dal trambusto prodotto dei due litiganti,
nell’improvviso silenzio, si avvicinano compagni e docenti che casualmente si
trovavano nei pressi di quell’ala dell’istituto, si raccolgono intorno ai due
contendenti cercando di capire che cosa stia succedendo, quale sia stata la causa
scatenante del litigio; gli studenti osservano muti la scena, i docenti - particolarmente
quelli che insegnano nella classe di appartenenza dei due ragazzi - si preparano ad
intervenire.
Fin qui, dunque, niente di strano: una discussione
un po’ più "animata" fra adolescenti di sesso maschile non è certo una
cosa di cui preoccuparsi, sono cose che possono succedere e gli insegnanti sanno come
fronteggiarle. Con tutta probabilità, la situazione si evolverebbe e si concluderebbe come
da copione, come tante altre volte nel passato e tante altre nel futuro, se uno dei
protagonisti non fosse un giovane albanese di un paio di anni più grande dei suoi
compagni di classe, arrivato in quella terza media circa un anno prima e, come purtroppo
accade a tanti suoi coetanei connazionali, tuttora guardato con una certa diffidenza e mai
del tutto integrato nel gruppo dei compagni. Quello che Saymir (questo è infatti il nome
– fittizio – del ragazzo albanese) ci aiuterà a capire, a sua stessa insaputa,
è che gli stereotipi possono sconfinare in pregiudizi senza possibilità di appello.
Nel gruppo di persone che si sono raccolte intorno
ai due contendenti si trova un insegnante della loro classe che è allertato da uno strano
luccichio che proviene da una delle mani di Saymir; mentre infatti quest’ultimo
sventola minacciosamente proprio quella mano sotto gli occhi di Luca (un altro nome
fittizio per il secondo ragazzo, italiano, al centro della lite), l’insegnante si
scaglia contro il giovane albanese afferrandolo al polso. Gli basta appena
un’occhiata per rendersi conto terrorizzato che ciò che scintilla sulla mano di
Saymir è un pugno di ferro, un attrezzo utilizzato da chi ha intenzione di picchiare
molto forte l’avversario, uno strumento di offesa personale: su questo non c’è
dubbio.
L’insegnante blocca allora Saymir, allontana
Luca – che si dirige verso la classe circondato dai compagni - e chiede
l’intervento dei Carabinieri. I militari dell’Arma arrivano alla scuola con una
certa solerzia e, verificati i fatti, se ne vanno poco dopo portando Saymir con loro,
nella locale caserma.
Saymir non si presenterà a scuola il giorno dopo e
neanche quello dopo ancora. Per alcuni mesi nessuno avrà più sue notizie; si rifarà
vivo solo alcune settimane prima della fine della scuola, sperando in un’improbabile
ammissione agli esami di licenza, che naturalmente neanche gli insegnanti più ben
disposti possono concederlgli, visto l’enorme numero di assenze. L’allievo
lascerà quindi definitivamente l’istituto senza aver sostenuto l’esame di terza
media.
A prima vista un caso di abbandono scolastico in
cui evidentemente la famiglia dell’allievo non interviene molto, perché nessuno dei
genitori si presenterà per discutere la situazione con i docenti, anche se il fratello
minore continua a frequentare regolarmente le lezioni nella stessa scuola.
Tuttavia, come accennato in apertura, la cronaca di
questo spiacevole fatto ha spinto gli altri insegnanti presenti il giorno
dell’incontro-scontro fra Luca e Saymir ad una riflessione sull’accaduto, li ha
portati a chiedersi se e in che misura la nazionalità di origine di Saymir possa aver
avuto un peso sull’evolversi degli avvenimenti, se qualcosa sarebbe stato diverso se
lo stesso oggetto contundente fosse comparso fra le mani di un allievo autoctono. Questi
insegnanti hanno anche scrupolosamente cercato di capire, interrogando gli altri compagni
di classe, cosa avesse scatenato la rabbia del giovane albanese per verificare se la sua
reazione fosse frutto di una provocazione o fosse nata da una semplice predisposizione
alla violenza – che certo la scuola non può tollerare – come qualcuno sembrava
ritenere.
Si è così scoperto che da diversi giorni e in
più occasioni Saymir era stato preso in giro da Luca e dai suoi amici, il che è
abbastanza comune fra ragazzi, ma il primo aveva anche fatto più volte notare di non
gradire gli scherzi, che sembravano metterlo in ridicolo di fronte agli altri compagni. I
ragazzi, si sa, possono essere molto pesanti nei confronti dei loro coetanei, talvolta
persino crudeli inventando per esempio soprannomi che mettono in risalto i punti dolenti
dei loro compagni, senza farsi il minimo scrupolo di usarli davanti ai malcapitati, e
quello che sembra sia stato alla base dell’incidente fra Luca e Saymir deve essere
stato proprio qualcosa di questo tipo. Come tutto questo sia stato recepito e interpretato
da un ragazzo appartenente ad una cultura diversa è però il punto su cui ci si deve
soffermare.
Nella cultura albanese un ragazzo di quindici anni,
che per noi italiani è ancora, suo malgrado, quasi un bambino, viene considerato ormai un
uomo e come tale deve sapersi far rispettare: nessuno deve permettersi di esporlo alle
risa dei pari e perché questo avvenga deve mostrare la sua forza, deve incutere timore.
Un atteggiamento da bullo di periferia, certo non nuovo neanche nella cultura italiana,
sia del passato che del presente, ma per il nostro protagonista deve essere stata una
questione davvero importante e da sistemare una volta per sempre.
In un paese, come l’Albania, in cui manca una
vera forma di autorità, in cui la società civile si è completamente disintegrata con la
caduta del regime comunista, nel cui vuoto istituzionale a fatica trovano spazio forme
stabili di democrazia, la sola legge che conti davvero è quella del più forte, a tutti i
livelli e in tutte le situazioni. Da qui a ritenere lecito l’uso della violenza nella
risoluzione dei casi personali, il passo è breve: persino i mediatori culturali albanesi
ammettono che, particolarmente fra uomini, l’uso di oggetti contundenti e coltelli è
una prassi in casi di liti e queste spesso si scatenano per i motivi più futili, in
genere legati a una forma di "onore" e di "dignità" personali che
devono essere visibili e riconosciuti da tutti.
Saymir si presenta quindi a scuola con il pugno di
ferro in tasca, pronto a tirarlo fuori di fronte alla prima facezia detta contro di lui.
Vorrà veramente usare l’oggetto contro Luca? Forse sì, forse no; di sicuro vuole
fargli paura, perché vuole che cessino gli scherzi nei suoi riguardi, vuole che sia salva
la sua immagine di sé di fronte agli altri, ma soprattutto di fronte a se stesso.
La domanda a cui bisogna trovare una risposta è
però un’altra: cosa avrebbe fatto l’insegnante intervenuto a sedare la lite, se
al posto di Saymir ci fosse stato un ragazzo italiano, magari lo stesso Luca? Avrebbe lo
stesso chiamato i Carabinieri o avrebbe cercato di farsi consegnare il pugno di ferro e
avrebbe accompagnato il violento in Presidenza? Stando all’esperienza pluriennale
degli altri insegnanti, di fronte ad episodi di violenza o di minaccia fra gli allievi, la
questione era stata sempre risolta all’interno dell’Istituto, finendo, nei casi
più gravi, proprio al cospetto del Preside, che dava una sospensione.
Perché dunque il loro collega ha deciso di
chiamare la forza pubblica? L’insegnante in questione sembra essersi mortalmente
spaventato perché temeva un esito cruento, vagamente preannunciato dalla cattiva fama che
aleggia intorno agli immigrati albanesi: tutti un po’ delinquenti, in fondo, spietati
anche fra di loro, figurarsi con gli italiani!
Stereotipo o pregiudizio? Va detto, a questo punto,
che l’area in cui si trova questa scuola media è densamente popolata da immigrati
albanesi, per cui anche nelle scuole locali la presenza di alunni di questa nazionalità
è piuttosto alta; quanto – e a che livello - questa etnia sia entrata veramente in
contatto con gli autoctoni, rimane ancora in dubbio.
Nessuno si è sentito di negare il fondamento di
verità su cui si basa il giudizio negativo sugli albanesi, per il quale le brevi note
culturali che abbiamo riportato sopra non vogliono essere una giustificazione, ma un
semplice tentativo di interpretazione. In molti hanno però sottolineato che anche gli
immigrati italiani erano ritenuti (e talvolta lo sono ancora oggi) tutti, e senza
distinzione, mafiosi ed erano discriminati per questo, tanto che gli italiani in molti
casi cercavano di non trasmettere la loro lingua madre ai propri figli. Significativamente
non è nuovo nelle nostre scuole il caso di alunni albanesi che rifiutano di parlare la
loro lingua madre persino con i connazionali arrivati dopo di loro in classe e che
dichiarano di non voler tornare mai più nel paese di origine.
Ma un ragazzo di quindici anni, da un anno arrivato
in un paese straniero che in molti casi gli si mostra ostile, non avrebbe avuto almeno
diritto ad avere una prova di appello? Non meritava che si appurasse la verità dei fatti,
che si tentasse una mediazione per arrivare certamente a una punizione, ma di un tipo più
costruttivo per lui e per i suoi coetanei autoctoni?
Il messaggio che l’istituzione scolastica
sembra aver fatto passare è che lo straniero è un diverso da allontanare come un
pericolo immanente. Questo non ha aiutato Saymir a conseguire la licenza media e neanche i
ragazzi nativi a capire la complessa società multietnica che si va delineando nel nostro
paese.