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L interosservazione
in classe, uno strumento per conoscere e intervenire
Annarita Zacchi
A partire da unesperienza personale di
osservazione fra insegnanti vorrei suggerire alcune riflessioni intorno ai punti:
(a) perché osservare
(b) come e che cosa osservare
(a) Nellistituto con cui collaboro si
insegnano linglese e litaliano, rispettivamente come lingua straniera e lingua
seconda. Nella tradizione anglosassone losservazione, intesa sia come supervisione
da parte di un superiore ai fini di valutare le competenze e le abilità didattiche dei
singoli insegnanti, sia "fra pari", come scambio e confronto, è una pratica
diffusa, che fa ormai parte della vita professionale dellinsegnante, in ambito
pubblico e privato. Un motivo, per così dire, esterno alla didattica ha ulteriormente
contribuito alla diffusione nel nostro istituto della pratica dellosservazione:
lintroduzione delle certificazioni di qualità a livello europeo cui
linsegnamento delle lingue va soggetto prevede un sistema di controllo da parte di
organizzazioni private.
Osservare reciprocamente il lavoro in classe
è divenuto quindi anche per noi insegnanti di italiano non solo una pratica mutuata
dallinsegnamento dellinglese ma anche una forma
di preparazione alla supervisione esterna.
Una prima risposta alla domanda sul perché
osservare è dunque riassumibile, nella esperienza descritta, in due punti: (1) perché è
reputata una pratica positiva di confronto in un tipo di attività come la nostra, che si
svolge perlopiù individualmente; (2) perché è bene abituarsi ad essere osservati, dal
momento che il nostro istituto andrà soggetto ad osservazione da parte di esterni.
Argomenti più che ragionevoli, anche se forieri di implicazioni, dubbi e domande che qui
sospendo, ma evidentemente frutto di decisioni aziendali, che non contemplano la
necessità di un più profondo coinvolgimento del corpo insegnante. Il fattore
problematico in questo tipo di procedura risiede a mio parere nel non sottolineare a
sufficienza limportanza della motivazione: se il perché non nasce
dallinterno, da una seria considerazione di tutti gli aspetti della pratica
proposta, losservazione rischia di svilirsi in uno sbrigativo adempimento di un
dovere.
Ora, sembra che limmagine si faccia
più definita e il dettaglio che aiuta è proprio la motivazione. Poniamo che un gruppo, o
una coppia, di questi insegnanti che sono passati attraverso la pratica
dellosservazione decida di andare avanti, di continuare, anche se ciò non è
richiesto. Questa decisione autonomamente raggiunta ha un valore profondo e nasce
dallaver cercato e trovato una ragione interna che può essere di tipo diverso. È
solo a partire da questo momento che losservazione diventa uno strumento conoscitivo
per linsegnante: ciò che spinge ad osservare ha a che fare con questioni,
curiosità, domande e problemi che vogliamo condividere. Inoltre, dedichiamo del tempo a
questa pratica perché la riteniamo coerente con un progetto di ricerca che ha come fine
la risoluzione pratica di problemi inerenti la didattica. Vedremo oltre (b) come attuarlo.
Ho voluto raccontare una storia personale
perché la ritengo estendibile, nella sostanza, alla situazione di gran parte degli
insegnanti, che credo possano talvolta vivere in modo conflittuale la richiesta sempre
più pressante di aggiornamento, quindi di disponibilità fisica e psichica. Ritengo
tuttavia superficiale affermare che le resistenze alle novità - o comunque ad interventi
che richiedono un investimento ulteriore di tempo per la programmazione - siano da
ascrivere alla tradizionale natura individualistica dellinsegnante o allo scarso
entusiasmo, dovuto in parte alla ben nota mancanza di unadeguata remunerazione.
Anche se più che sufficienti e validi, questi sono solo i punti visibili di un sommerso
più oscuro e grave che fa dellinsegnamento unentità dispensatrice di saperi
confezionati, in grado di creare consumatori e non ricercatori; entità a sua volta
soggetta a regole e norme la cui validità sarebbe quantomeno da esplorare. In questo
contesto, che per fortuna ha sempre più le sue luminose eccezioni, la scelta da parte
degli insegnanti di osservarsi reciprocamente può rappresentare un atto di autonomia
nella direzione di una rinnovata volontà di ricerca che contribuisce a restituire
dignità sociologica alla professione.
(b) Questultima riflessione può
essere condivisa o no, dipende da molti fattori, prima di tutto dalla situazione
personale. Un dato certo è che per portare avanti una valida osservazione occorre un
progetto pratico: il come. A questo proposito, vorrei aprire una parentesi su una
possibile metodologia. Un esempio di come la didattica possa trarre vantaggio da una
concezione allargata dellinsegnamento, in cui il momento dellosservazione è
fondamentale, è quello della ricerca-azione (R-A). Lespressione
"Action-Research" si deve allo psicologo sociale K. Lewin, ma è stata
introdotta in ambito pedagogico alla fine degli anni 70 da Elliott e Adelman
(progetto Ford dinsegnamento). Brevemente, questa si configura come una riflessione
eclettica ma sistematica su problemi pratici sperimentati da chi lavora in contesti
educativi con la prospettiva di poter prendere decisioni sulla loro risoluzione. Un metodo
di lavoro, quindi, che inserisce linsegnante in un progetto, coinvolgendolo in un
processo di riflessione e di analisi del proprio operato. La R-A si muove principalmente
su questi piani: sviluppare un piano dazione; agire per realizzarlo; osservare gli
effetti nel contesto in cui si porta a termine lazione; riflettere sui suoi effetti.
Mettiamo che, in questo percorso, mi trovi ad osservare linterazione in classe
durante una certa attività di gruppo, è chiaro che alcune distorsioni possono derivare
dalle mie condizioni psico-fisiche, dalle aspettative e dalla tendenza a fornire dati che
concordino con le idee personali. Lutilizzo di un osservatore esterno può essere
molto utile per correggere il mio punto di vista e portare più trasparenza
nellanalisi dei fatti.
In un recente studio pedagogico-filosofico
sulla professione delleducatore [BASSA POROPAT- LAURIA 1998] si fa notare come il
termine "interosservazione" [BOZZI 1978] sia calzante per decrivere la modalità
ideale di rapporto tra insegnanti nella condivisione dellesperienza osservativa.
Infatti, se ci rivolgiamo alletimo notiamo che il prefisso "inter" indica
una posizione o un moto descrittivi dellunione e della relazione reciproca tra due
elementi, mentre il latino "ob-servare" significa "mantenere, serbare
verso...". Il nostro attuale significato di "guardare attentamente, criticare,
notare e rilevare" trascura quello originario di rispetto di una regola e di una
promessa, da cui i derivati "osservanza" e "osservante". Tornando
quindi allinterosservazione, il prefisso indica il movimento continuo che collega e
confronta più posizioni, mentre losservazione riacquista il significato originario
di "ob-serbare", ovvero mantenere e rispettare le caratteristiche
delloggetto osservato. Non è proprio questo lobiettivo di base che gli
insegnanti impegnati nella pratica descritta perseguono?
Forse tutto ciò può sembrare teorico e di
difficile applicazione. Sono invece daccordo con Lewin che "niente è più
pratico di una buona teoria" e linterosservazione, come da ora chiameremo la
pratica di osservazione reciproca tra insegnanti, assume valore solo se viene
contestualizzata e formalizzata in un progetto comune. Ritorniamo dunque allesempio
dellosservazione dellinterazione in classe durante unattività di
gruppo. Dopo aver determinato il piano di azione, che può essere più o meno esteso, a
partire dallindividuazione di uno o più problemi relativi alla didattica in classe,
gli insegnanti stabiliscono una scaletta di interosservazioni, che accompagnano ovviamente
il lavoro individuale di osservazione della classe.
Nel tentativo di tenere sotto controllo le
possibili fonti di errore ritenute responsabili di inficiare lattendibilità delle
osservazioni è possibile adottare vari accorgimenti:
(1) È buona norma prolungare
losservazione nel tempo dato che gli studenti tendono a comportarsi diversamente
sapendo di essere osservati. È possibile introdurre strumenti che consentano di osservare
senza che i soggetti se ne accorgano (diari, registrazioni audio e video) ma occorre
sempre considerare quale sia il mezzo più idoneo e meno invasivo.
(2) Losservatore dovrebbe cercare di
tenersi a distanza, lasciando che il gruppo-classe familiarizzi con la sua presenza
(osservazione naturalistica mutuata dalletologia e
dallantropologia).
(3) Non è necessario esplicitare che
cosa di volta in volta stiamo osservando. Per esempio, se decidiamo di lavorare su un
gruppo che sta facendo un gioco e in particolare ci interessa registrare
laggressività di uno o più studenti, possiamo semplicemente dire che siamo lì per
vedere come funziona lattività proposta.
Infine, un aspetto importante
dellinterosservazione riguarda la modalità di comunicazione tra gli insegnanti.
Vorrei qui suggerire alcuni accorgimenti che risultano preziosi per una comunicazione
"ecologica": credo, infatti, che sia facilmente condivisibile
laffermazione che ogni insegnante tende a proteggere il proprio operato e a vivere
con una certa dose di ansia lintervento di una figura esterna. È fondamentale, come
primo passo, che linsegnante-osservatore ascolti in modo empatico le ragioni
dellosservato. Più si chiariscono le descrizioni delle tematiche, o dei problemi,
della classe indagata, più spazio diamo alla voce del collega, più siamo certi di
comprendere e condividere lobiettivo, che può essere individuato, a partire dal
progetto iniziale, in aree diverse della didattica. Solo per accennare qui alcuni esempi,
possiamo selezionare i seguenti aspetti: come linsegnante dà le istruzioni delle
attività; quanto tempo parla e quanto ne lascia agli studenti; comportamento di uno o
più allievi problematici; equilibrio delle diverse abilità linguistiche allinterno
del piano della lezione; reazione degli studenti ad una certa attività, ecc. Se le
osservazioni si ripetono nel tempo e, come abbiamo visto, fanno parte di una ricerca
progressiva e sempre aperta a cambiamenti e aggiustamenti, il che cosa osservare
emergerà in modo naturale, come necessaria conseguenza di un piano dazione
condiviso.
Anche per quanto riguarda il feedback,
ad osservazione avvenuta, forse alcune considerazioni non sono così ovvie come appaiono.
In quasi tutti gli studi sullargomento, siano essi di tipo peculiarmente psicologico
o più mirati alla didattica, si raccomanda di porre lattenzione sulla scelta
ponderata dei termini da usare nel riferire al collega le proprie considerazioni, evitando
di criticare in modo troppo diretto o di porre con troppa forza argomentazioni e
alternative. Si sottolinea inoltre la necessità di apprezzare in modo esplicito quelle
che riteniamo qualità positive del lavoro osservato e di fornire sempre e comunque
incoraggiamento.
Ho personalmente sperimentato, però, che se
da un lato lutilizzo di alcune strategie comunicative può essere indispensabile,
ciò non esaurisce affatto la questione. Se non vogliamo che il feedback si
trasformi in uno scambio formale di complimenti o, allopposto, in una critica che
può inutilmente ferire, occorre che siano rispettate almeno le seguenti condizioni: deve
essere stata condivisa la fase progettuale della ricerca; è necessaria una autentica
simmetria allinterno del rapporto; nellambito dellagire comunicativo,
l "ascolto empatico" [ROGERS 1951] va perseguito come fine e non come
tendenza, per così dire, naturale. Niente è infatti meno spontaneo, almeno nella nostra
cultura occidentale, della tutela delle relazioni dallinvadenza della soggettività.
Bibliografia
BASSA-POROPAT M.T. - LAURIA F. (1998)
Professione educatore. Modelli, metodi, strategie dintervento, ETS, Pisa.
BOZZI P. (1978) Linterosservazione come metodo per la fenomenologia
sperimentale, in "Giornale Italiano di Psicologia", 2, vol. V, pp. 229-39.
LEWIN K. (1946) Action Research and Minority Problem, in "Journal of
Social Issues", 2, pp. 34-46.
LEWIN K. (1951) Field Theory in Social Science, Harper & Row, New York,
trad. it. Teoria e sperimentazione in psicologia sociale, Il Mulino, Bologna 1972.
NUNAN D.- LAMB C. (1996) The Self Directed Teacher, Cambridge University
Press, Cambridge.
ROGERS C.R. (1951) On Becoming a Person. A Therapists View of
Psychotherapy, Houghton Nifflin, Boston, trad. it La terapia centrata sul cliente,
Martinelli, Firenze 1970.
a.zacchi@libero.it
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