|
La storia di Monia e
Fatima (e delle loro insegnanti): un problema interculturale
Fiorenza Quercioli
Riportiamo di seguito unesperienza di
cui siamo stati testimoni diretti e in cui abbiamo dato un modesto contributo nel corso
dellanno scolastico appena conclusosi. Per ovvi motivi di riservatezza, i nomi delle
due allieve sono stati cambiati mentre le insegnanti saranno identificate solo tramite il
loro ruolo.
Le insegnanti erano davvero sconcertate: le
loro alunne di terza media, Monia e Fatima, entrambe marocchine, sembravano davvero
interessate a proseguire gli studi, ma interrogate su quale scuola superiore avrebbero
scelto, dichiaravano di non voler continuare a studiare. La contraddizione era stridente e
daltra parte le insegnanti conoscevano abbastanza bene le famiglie per capire che
doveva esserci sotto un qualche divieto proveniente dallortodossia religiosa e
dallattaccamento alle tradizioni nazionali che i genitori avevano più volte
dimostrato e che probabilmente censurava anche i desideri più normali delle bambine.
Monia a Fatima, ciascuna a suo modo, erano
entrambe alunne dotate di unintelligenza brillante e il loro rendimento scolastico
premiava gli sforzi iniziali delle docenti che si erano adoperate per insegnar loro la
lingua italiana e per farle integrare a pieno titolo con i compagni di classe. Le
insegnanti si sentivano quindi orgogliose del loro lavoro, ma nel corso degli ultimi anni
avevano anche imparato a conoscere la cultura islamica di cui le loro alunne facevano
parte, e sapevano che nel mondo arabo il posto della donna è in casa per cui intuivano
che il diniego delle ragazze doveva avere radici culturali più che sinceramente
personali. Proprio questa percezione le irritava, loro malgrado, oltre modo. Non
ritenevano giusto nutrire ostilità nei confronti delle famiglie delle alunne, si
consideravano persone prive di pregiudizi e nonostante le difficoltà iniziali di
comunicazione, avevano sempre cercato di improntare i rapporti con i genitori, di
qualunque etnia essi fossero, al rispetto reciproco, per cui, adesso, oltre ad avere un
problema che come educatrici sentivano di dover risolvere, dovevano gestire anche certi
sentimenti negativi che sentivano emergere nei loro cuori.
Discutendo fra di loro la questione, le due
insegnanti si sono rese conto che il tema della libertà di scelta per le stesse donne
italiane è una conquista abbastanza recente e ancora oggi, purtroppo, non sempre e
ovunque assodata. Non cè bisogno di andare indietro di ere geologiche per
rendersene conto: fino al secondo dopo-guerra, neanche le donne italiane potevano
facilmente decidere di studiare e la possibilità di fare degli studi superiori era
appannaggio di poche. Poche di noi infatti hanno madri con un titolo di studio di scuola
superiore e molto spesso il confronto fra la nostra vita e quella delle nostre madri è
stridente. Ecco che la situazione in cui si trovavano le loro allieve richiamava nelle
insegnanti, laureatesi negli anni 70, situazioni personali e sociologiche non ancora
del tutto definite: allimprovviso riaffioravano le loro lotte giovanili e non tanto
per conquistarsi il diritto di studiare, quanto per poter realmente aspirare fuori e
dentro le mura domestiche alle stesse opportunità riservate ai loro coetanei.
Daltra parte, riflettendoci bene, le
due insegnanti capivano anche che nella storia di un popolo cinquantanni sono un
tempo piuttosto esiguo per stabilizzare un cambiamento sociale epocale, come quello
prodotto dal movimento femminista, che non ha solo promosso lemancipazione delle
donne, ma ha anche stravolto i ruoli tradizionali allinterno delle nostre famiglie,
rigettando lassetto sicuro del passato, in cui ognuno sentiva di avere un posto ben
definito, anche se per le donne questo rappresentava una limitazione. Dopo il movimento
femminista a tutti si è imposta la ricerca di un nuovo equilibrio, sia a livello sociale
che personale, e nonostante lapparente "modernità" di cui facciamo
volentieri sfoggio, questo processo è per certi aspetti ancora in corso. La discussione
ha condotto quindi le nostre protagoniste ad affermare che il tema della autonomia
decisionale è un punto sensibile nella personalità di ogni donna italiana, almeno di una
certa generazione, e certo tutti noi uomini e donne - potremo trovare conferme a
questa asserzione nella nostra esperienza personale.
Quello che si preannunciava quindi non era
solo unurgenza formativa, ma anche uno scontro culturale fra le famiglie islamiche e
le insegnanti italiane; questo scontro nasceva dal confronto fra due modelli culturali
diversi e dal fatto che le rappresentanti della cultura italiana, più o meno
consapevolmente, si trinceravano dietro a un modello di cui andavano fiere e su cui non
erano disposte a discutere proprio perché dietro alle conquiste raggiunte si annida
ancora una certa insicurezza che spesso spinge le donne alla difesa strenua della loro
nuova posizione nella società.
Prima di proseguire nella narrazione, è
doveroso ricordare che le due docenti capivano molto bene che da un punto di vista
antropologico ogni modello culturale rappresenta di per sé una risposta che un popolo dà
ad un problema esistenziale o socio-economico: il modello culturale che codifica i ruoli
maschile e femminile, per esempio, risponde allesigenza di organizzare in modo
efficiente la vita della famiglia, nucleo basilare di certe società. La cultura
ossia linsieme dei modelli rispecchia quindi la storia del popolo che la ha
prodotta, ma alla sua elaborazione possono concorrere anche altri elementi e infatti in
alcuni modelli culturali si possono talvolta rintracciare anche motivazioni legate al
clima o alla geografia della regione in cui il popolo in questione vive. Nello sviluppo
dei modelli culturali, un ruolo fondamentale viene poi svolto dalla religione per cui
molto spesso certi costumi si sviluppano in armonia con il codice religioso dominante,
mentre in altri casi, per sancire limportanza di un certo modello, questo viene
assunto a norma religiosa: la religione musulmana è ricca di ben note prescrizioni che
riguardano proprio le donne, ma non potremo dire che la religione cattolica, prevalente in
Italia, non proponga altrettanto.
Per tutto quello che abbiamo detto sopra è
ovvio che in senso strettamente antropologico un modello culturale è degno di per sé,
non ne esiste in sostanza uno migliore di un altro perché tutti danno risposte a problemi
basilari dellesistenza, a questioni proprio per questo definite "di
natura". Il che non significa che in seguito a mutamenti storici e sociali, questi
bisogni non possano cambiare nel corso degli anni e che un popolo o singoli individui,
possano mettere in crisi i propri modelli e elaborarne di nuovi. Questultimo è il
caso della nostra cultura che dopo alcuni avvenimenti politici (la fine della dittatura e
linstaurarsi della democrazia) e sociali (lindustrializzazione e un più
diffuso benessere economico) ha ritenuto che il modello di famiglia tradizionale non fosse
più accettabile e attraverso una serie di conflitti e tensioni sta progressivamente
sviluppando un nuovo modello. Ma nel mondo arabo le cose vanno diversamente e di questo
dobbiamo tenere conto ricordando che probabilmente poche donne dellepoca
pre-femminista hanno osato pensare di poter organizzare la propria vita in maniera diversa
da come la loro cultura di riferimento imponeva loro di fare perché la censura era
pressoché totale e lostracismo assai difficile da sopportare.
Ma ritorniamo a Monia e Fatima. Dopo varie
discussioni e vari tentativi di parlare con le famiglie che di fronte allargomento
degli studi futuri delle figlie si chiudevano in sé stesse rifiutando di parlare se non a
monosillabi, la decisione presa è stata quella di far intervenire una mediatrice
culturale marocchina che affrontasse il problema con le bambine e con le famiglie,
parlando la loro stessa lingua e non la lingua dellimmigrazione, come giocoforza le
insegnanti dovevano fare. Chi di noi si è trovato a vivere allestero, anche per
brevi periodi e non come immigrato, sa che, per quanto si possa essere competenti nella
lingua locale, in situazioni difficili trovare qualcuno con cui possiamo comunicare
parlando la nostra lingua madre allenta, almeno in parte, la tensione e ci dà subito la
sensazione che ci capisca di più.
La scelta è caduta su una donna piuttosto
che su un rappresentante maschile della cultura araba perché si è ritenuto che una donna
potesse essere già di per sé un valido esempio di un cambiamento che poteva prodursi
allinterno della cultura araba e che poteva coinvolgere anche le due allieve in
questione. La mediatrice che è intervenuta è infatti una giovane signora in possesso di
un titolo di studio di scuola superiore e vive nel nostro paese da un tempo
sufficientemente lungo per poter dire di aver fatto un confronto armonioso fra la sua e la
nostra cultura sottolineando con la sua sola presenza che la cultura araba non è
necessariamente un blocco monolitico inscalfibile.
Sono stati programmati due incontri: uno fra
la mediatrice e le allieve e il secondo fra la mediatrice e i genitori delluna e
dellaltra studentessa. Entrambi gli incontri prevedevano una prima fase in cui le
insegnanti erano presenti al colloquio e una successiva in cui le insegnanti uscivano.
I risultati di queste conversazioni sono
stati sorprendenti per le nostre insegnanti, un po meno per la mediatrice,
naturalmente.
Di fronte alle insegnanti Monia e Fatima
hanno ribadito il loro rifiuto di continuare a studiare motivandolo con la mancanza di
voglia di passare altro tempo sui libri; una ha dichiarato addirittura di volersi sposare
presto, ma significativamente nessuna delle due ha detto di preferire la vita lavorativa
alla vita da studentessa. Una volta uscite le insegnanti, di fronte alla signora
marocchina, le due ragazze in lacrime hanno dichiarato quello che tutti sospettavano,
ossia che avrebbero tanto voluto fare come lei, studiare e trovare un lavoro e poi vedere
come continuare, ma sapevano con assoluta certezza che le famiglie non avrebbero mai
accettato questa loro decisione. La mediatrice, dal canto suo, le ha consolate come poteva
e ha assicurato che avrebbe parlato con i genitori e avrebbe provato a convincerli a
cambiare idea sul loro futuro.
Ai colloqui successivi, come era del resto
prevedibile, si sono presentati soltanto i padri: le madri erano a casa ad occuparsi degli
altri figli e dei lavori domestici, nella cultura araba è il padre che deve occuparsi
delle relazioni con il mondo esterno. Non dimentichiamo che in molte famiglie arabe,
spesso le madri non parlano Italiano o lo parlano appena ad un livello di sopravvivenza
proprio perché non hanno abbastanza rapporti con gli italofoni da sviluppare una vera
competenza comunicativa.
Entrambi i padri si sono confermati
completamente contrari allidea di far continuare gli studi alle proprie figlie
perché non lo ritenevano appropriato per delle ragazze. Uno ha ammesso di aver già
individuato un promesso sposo per la propria figlia, laltro di fronte alla
prospettiva accennata dalla mediatrice che la figlia avrebbe anche potuto sposare un
italiano, ha asserito che la avrebbe piuttosto uccisa.
Informate dalla mediatrice di quanto emerso
nella sua opera di mediazione, le insegnanti si sono sentite più scoraggiate che mai.
Cosa avevano ottenuto, in fin dei conti? Sapevano per certo che le loro allieve avrebbero
voluto intraprendere gli studi superiori, ma erano ormai altrettanto certe che questo non
sarebbe stato loro permesso. Ben lungi dal trovare una soluzione soddisfacente per tutti,
si sentivano ancora più impotenti e arrabbiate.
Situazioni come questa non sono rare nelle
nostre scuole dellobbligo e chi scrive le ha sentite riferire spesso da insegnanti
che non si conoscono neanche e lavorano in plessi e istituti molto distanti fra di loro.
Che risposta possiamo quindi dare come educatori di fronte a un problema così delicato?
Dobbiamo forse ritenere che il nostro compito si esaurisca con linsegnamento della
lingua seconda e metterci lanimo in pace?
Va detto prima di tutto che un insegnante di
lingua che si rispetti non deve limitare la sua opera alla semplice trasmissione dei
contenuti linguistici. In quanto specchio del popolo che la parla, la lingua è di per sé
inscindibile dalla cultura per cui con la lingua si fa sempre passare anche un contenuto
culturale. Ma un buon insegnante promuoverà nei suoi allievi anche una riflessione
culturale che lo porti a confrontare i propri modelli con quelli del popolo di cui sta
cercando di imparare la lingua. Il che non significa che lallievo dovrà assumere
modelli culturali che non gli si confanno, ma che dovrà provare a porsi in rapporto
dialettico con i contenuti culturali nuovi, cercando le somiglianze e le differenze con i
propri valori, fino a sviluppare un vero relativismo culturale che gli permetta di
adottare i modelli a lui più congeniali senza cadere in pericolose frustrazioni.
Sembrerà strano, ma tutto questo è vero
anche per linsegnante, anzi è più vero perché linsegnante è un adulto e
quindi dovrebbe essere più in grado di mettersi in rapporto con la realtà in modo
dialettico. Quello che molto spesso si tende a sottovalutare è il fatto che anche noi
insegnanti, lavorando con alunni stranieri, ci troviamo a confrontarci con unaltra
cultura - quella dei nostri allievi e che il relativismo culturale che cerchiamo di
incoraggiare nei nostri studenti dobbiamo promuoverlo prima di tutto in noi stessi.
Alla fine le insegnanti della nostra storia
hanno capito che il loro compito educativo era prima di tutto quello di far vedere a Monia
e a Fatima e naturalmente alle loro famiglie che esiste anche un
altro modello culturale riguardo al ruolo delle donne nella società, ma che non devono
sottolinearlo eccessivamente o mostrare disapprovazione verso le posizioni delle loro
allieve e dei loro padri. Non cè nessuna crociata da fare e nessuno assicura che il
modello italiano sia migliore, anzi qualcuno potrebbe addirittura pensare il contrario.
Nessuna cultura è più degna di un altra: lo abbiamo annunciato in sede teorica, è
venuto ora il momento di ricordarlo e tradurlo in pratica.
In secondo luogo insistere per instillare
nelle due bambine un precoce seme di ribellione sarebbe controproducente, se non
devastante, proprio per le due allieve in questione. Cosa dovrebbero fare con i loro
padri? Perché spingere due adolescenti verso una battaglia difficile da sopportare (e da
vincere) anche per un adulto? Siamo proprio sicuri che questo sarebbe un bene per loro?
Ladolescenza è già di per sé un momento così critico dellesistenza che
appesantirlo con problemi così grossi risulterebbe alla lunga dannoso perché le allieve
potrebbero non essere preparate ad affrontarli. Ricordiamo che le donne italiane hanno
"deciso" di ribellarsi proprio negli anni 70, anche perché erano
ampiamente sostenute in questo loro processo di liberazione dalla società, o almeno da
una parte consistente di essa. Se in un momento qualunque le ragazze arabe mostreranno di
aver preso consapevolezza della situazione e chiederanno aiuto allistituzione
scolastica, è chiaro che cercheremo di fare il possibile, ma senza mai perdere di vista
la realtà in cui le ragazze vivono e di cui fanno parte.
Per adesso può bastare che Monia e Fatima
abbiano capito che esiste anche un altro modello culturale e che abbiano capito che noi,
insegnanti e italiane, siamo interessati a conoscere il loro e che lo rispettiamo per
quello che è. Questi sono gli obiettivi che dobbiamo prefiggerci e raggiungere di fronte
a situazioni di tensione interculturale: far vedere che esistono più modelli (quindi più
risposte allo stesso problema), che tutti sono sullo stesso piano e che noi stessi
crediamo in questo perché rispettiamo le differenze. Questo à quello che dovrebbe
passare anche agli altri alunni, agli italofoni, anche loro adolescenti, anche loro spesso
messi di fronte a sistemi di valori sconosciuti, apparentemente assurdi, e che non sanno
decifrare.
Un giorno Monia e Fatima cresceranno e forse
saranno in grado di fare le battaglie che tutte noi abbiamo già fatto, con tanto dolore e
quando i tempi sono stati maturi per farle. Abbiamo la presunzione di credere che il
rispetto e la considerazione del valore delle culture altrui che abbiamo cercato di
insegnargli le aiuteranno nel loro cammino esistenziale.
Email flo@technet.it
|
|