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"Sorellina" va a scuola
Maria Omodeo
Il suo nome tradotto in italiano significa
"Sorellina". Arriva in Italia a metà maggio, accompagnata dal fratellino di
quattro anni più grande che la guarda con timore e ammirazione e dai due giovani
genitori, sorridentemente determinati a far cominciare al più presto la scuola a lei e al
fratello. Il dirigente scolastico della scuola dove si presenta la famigliola cinese cerca
subito una prima elementare in cui iscriverla, mentre la bimba sta lì sorridente, mano
nella mano a turno con il padre, il fratello, la madre, mentre questi tentano di
comunicare, un po a gesti e un po con linterpretariato via telefono.
Finalmente, il giorno dopo, il padre la accompagna per il suo primo giorno di scuola:
appare subito evidente un cambiamento di registro, la bimba comincia a urlare, dibattersi,
si avvinghia al cancello. Il padre resta nei dintorni mentre le urla della bambina (di
potenza degna di quella di una grande cantante) impediscono allinsegnante di classe
non solo di fare lezione, ma addirittura di tentare una qualche sorta di socializzazione. Il dirigente scolastico chiama il Centro di alfabetizzazione "Gandhi" per sapere se cè un operatore bilingue disponibile
ad andare per concordare con il padre una strategia dinserimento meno traumatica. Mi
presento alla scuola e la bimba, con il padre ed il fratello accanto, è sorridente e
serena, affettuosa anche con me, tanto che mi si siede in braccio e si mette a disegnare.
Il padre ci racconta che nella prima metà dellanno scolastico la nonna, con cui i
due fratellini vivevano da anni in attesa del ricongiungimento familiare, aveva tentato di
mandarla a scuola, ma "Sorellina" si era comportata esattamente allo stesso
modo, urlando, piangendo e impedendo a tutta la classe di fare lezione. Dopo quattro
settimane di tentativi falliti, la nonna aveva deciso che si trattava di unimpresa
superiore alle sue energie ed aveva così comunicato che la nipotina avrebbe cominciato ad
andare a scuola una volta ottenuto il ricongiungimento in Italia, tanto più che questo
sembrava imminente. Intanto il fratello finiva le elementari con successo.
La "trattativa" sulle modalità di
inserimento nella nuova scuola italiana la conduce sostanzialmente "Sorellina":
andrà a scuola, ma solo se ci andrà anche suo fratello, a cui la scuola media ha
confermato liscrizione in prima a partire dal settembre successivo, dato che
lanno scolastico sta finendo. Il dirigente scolastico delle elementari accoglie
liscrizione in quinta elementare per lultimo scorcio di anno scolastico in
corso. Il padre è ben felice dellopportunità, avendo osservato che ad aumentare
allangoscia da separazione manifestata dalla bimba cè il fatto che è quasi
lunica allieva dorigine cinese della scuola. Il ragazzino a sua volta è
felice di imparare un po ditaliano prima di entrare alle medie. Viene così
concordato che il giorno dopo i due fratellini torneranno a scuola, che due volte la
settimana verranno al Centro "Gandhi" per i laboratori bilingui e che
frequenteranno i corsi intensivi post-scuola di giugno e pre-scuola di settembre
organizzati presso il Centro. "Sorellina" in modo serio promette che non farà
altre scenate e che frequenterà con costanza.
Osservo che "Sorellina" parla un ottimo
cinese nazionale, migliore di quello del fratello e dei genitori, che hanno forti
influenze dialettali. Quando chiedo al padre come sia possibile una pronuncia così
perfetta, lui mi risponde che a casa della nonna la bimba passava tante ore davanti alla
TV. Forse gratificata dal complimento per la sua buona pronuncia in cinese nazionale,
"Sorellina" ogni tanto ripete qualche parola italiana che sente dal dirigente
scolastico e da me: ha un orecchio straordinario.
Ma la mattina dopo la scena si ripete:
"Sorellina" grida e piange avvinghiata ad una gamba del padre sempre più
avvilito. Per incoraggiarlo gli diciamo che è normale che nei primi giorni di scuola i
bambini piangano e altre banalità che la bimba contraddice non appena il padre si
allontana; ottiene urlando di andare nella classe del fratello e istantaneamente smette di
urlare: è raggiante e comincia a girare per tutti i banchi guardando cosa fanno i
compagni, toccando le loro cose, scatenando la loro ansia ad un mese dallesame di
quinta. Ogni giorno la scena si ripete identica, a parte qualche tentativo fallimentare di
far accompagnare dal fratello la bimba nella sua prima, dove tutti la aspettano con
entusiasmo. No, non è là che vuole stare, scappa via dalla classe, fa il diavolo a
quattro. Nei giorni in cui viene al Centro "Gandhi" dimostra subito tempra di
leader, una prontezza straordinaria nel capire le situazioni, un intuito linguistico
incredibile, superando in poco tempo tutti gli allievi venuti prima di lei, pur mantenendo
il suo comportamento ipercinetico.
Chiediamo appoggio ad una maestra cinese distaccata
a Firenze nellambito di un gemellaggio fra scuole sostenuto dallAssessorato
alla Pubblica Istruzione: durante un corso di aggiornamento ha detto che ciò che dà la
forza ad un insegnante cinese che ha mediamente 50 alunni in classe - di essere
contento di averne qualcuno "molto indisciplinato" è il fatto che di solito
sono quelli che imparano meglio e più in fretta. La maestra cinese ed una operatrice
bilingue del Centro si alternano in classe per permettere alla quinta di andare avanti con
le lezioni e in prima di non riaprire dinamiche di ansia fra gli alunni, da poco superate.
Le cose vanno meglio, anche se "Sorellina" continua a non riuscire a stare ferma
ed anche se ogni volta che la maestra cinese o loperatrice bilingue si allontanano
lei rimane alla finestra con aria disperata finché non arriva il padre a prenderla.
Non appena comincia il corso quotidiano post-scuola
nella seconda metà di giugno al Centro Gandhi, "Sorellina" conquista tutti,
divenendo un po la mascotte collettiva - anche nel senso che è molto difficile
convincerla a rimanere nel suo gruppo. Il fratello alterna momenti di forte disagio per il
comportamento "scorretto" della sorella, di cui si sente responsabile, a momenti
di ancora più forte disagio perché lei dopo poco più di un mese comunica abbastanza
bene in italiano ed ha perfino imparato a scrivere parole sotto dettatura, mentre lui,
più taciturno, ha ancora grosse difficoltà.
A settembre, nel pre-scuola al Centro le cose hanno
più o meno lo stesso decorso, ma appena ricomincia la scuola è obbligatoria la presenza
delloperatrice bilingue in classe, perché altrimenti non è possibile contenere le
urla e i tentativi di fuga di "Sorellina", tanto più che il fratello,
finalmente affrancatosi, è passato alla scuola media. Un po per volta lorario
della operatrice bilingue in classe diminuisce e "Sorellina" è ormai amica
indiscussa di tutti in classe. Il suo percorso di prima alfabetizzazione presso il Centro
dura ancora pochi mesi, grazie alla sua straordinaria capacità di comunicare in qualsiasi
lingua con cui entra in contatto.
Ho portato questo esempio come provocazione nei
confronti di un atteggiamento frequente che vede nellappartenenza "etnica"
una uniformità di reazioni, comportamenti, caratteristiche: nei bambini cinesi calmi e
quasi dimessi si vede la norma, sembra una contraddizione assurda incontrarne uno
ipercinetico. Anche sulle competenze nascono luoghi comuni: dato che i bambini e i ragazzi
dorigine cinese che hanno frequentato le scuole nel loro Paese hanno seguito un
programma di matematica molto avanzato, si è diffusa lidea che tutti i bambini
cinesi siano bravi in matematica. Quando se ne incontra uno che invece non la apprezza o
non la capisce, non solo ciò provoca stupore, ma anche lo si valuta più negativamente
che se fosse stato italiano. La pazienza, come la predisposizione alla matematica sono
considerati quasi imprinting razziali e non gli effetti di processi educativi, di
predisposizioni ed interessi individuali. Se un bambino di una determinata origine ha
avuto percorsi scolastici accidentati, o comunque differenti dalla maggioranza dei suoi
coetanei, per forza di cose non corrisponde allidea stereotipata che ci eravamo
formati empiricamente con altri allievi che avevano seguito percorsi più standard.
Al di là della provocazione, questo esempio ci è
anche utile per capire quanto può essere flessibile la risposta dei vari Centri di
Alfabetizzazione in lingua italiana della rete formata dallAssessorato alla Pubblica
Istruzione di Firenze, la Direzione Regionale agli Studi, i Consigli di Quartiere ed un
vasto numero di associazioni e cooperative.
Il Centro di
alfabetizzazione Gandhi, a cui fa riferimento lesempio riportato, opera nel
Quartiere n° 5 del Comune di Firenze, caratterizzato dalla numerosità di inserimenti di
allievi giunti in corso danno dai paesi dorigine e da unaltissima
percentuale di allievi cinesi. Infatti, oltre il 70 % degli allievi seguiti nei percorsi
di prima e seconda alfabetizzazione dagli operatori del Centro è di questa origine.[indietro]
Il Centro è gestito dallassociazione Cospe e
dalla cooperativa "Il Pozzo", che hanno competenze complementari: il Cospe nel
tempo si è specializzato nella promozione del bilinguismo fra gli allievi dorigine
straniera, sia con laboratori linguistici ad hoc, sia con il supporto della
multimedialità (nel Centro è operativo un laboratorio informatico ben attrezzato), sia
con la creazione di moduli didattici, ritagliati su misura delle specifiche necessità dei
gruppi di allievi seguiti. La cooperativa "Il Pozzo", dal canto suo, non solo
conduce da anni laboratori di alfabetizzazione per gli allievi dorigine straniera
della zona delle Piagge e di Brozzi, ma soprattutto mette in campo la sua profonda
conoscenza del territorio e delle sue caratteristiche, utile per favorire
uninclusione dei nuovi giovani cittadini del quartiere.
Per rispondere alle difficoltà di apprendimento
dellitaliano come seconda lingua da parte di bambini e ragazzi di madrelingua
cinese, lingua che presenta caratteristiche tanto lontane dallitaliano, utilizziamo
la metodologia del laboratorio bilingue. Bambini e ragazzi che ancora non padroneggiano
litaliano, vengono divisi in piccoli gruppi provenienti da più scuole, cercando il
più possibile di rispettare quattro criteri di omogeneità: competenze in L2, competenze
in L1, età e percorsi scolastici pregressi. Viene poi proposto un tema di studio cercando
di catturare linteresse dei ragazzi: ad esempio una ricerca sugli animali rari, o
sulla storia dei mezzi di trasporto, o su un altro tema concordato con gli insegnanti
delle classi frequentate dagli alunni. Si cerca di fare forza sulla lingua meglio
padroneggiata da ognuno affinché dia il suo contributo, per dimostrare che tutto può
essere detto anche in L2, a qualunque livello di approfondimento. Non si tratta
naturalmente di insegnare ai ragazzi a tradurre dalla propria lingua allitaliano,
che provocherebbe pericolose fossilizzazioni di errori sintattici e grammaticali per
influenza della L1: cerchiamo piuttosto di creare un ambiente comunicativo, in cui il
motore primo del coraggio di provare a parlare - anche se ancora in modo non impeccabile
parte dalla voglia di raccontare esperienze specifiche, conoscenze che i compagni
di classe non hanno, condividere percorsi di ricerca comune.
La creazione di un contesto comunicativo è tanto
più complesso quanto più sono grandi i bambini: se per "Sorellina" le doti
individuali di comunicativa e letà sono di grande aiuto perché lacquisizione
dellitaliano avvenga in modo quasi spontaneo, per suo fratello il percorso sarà
più lungo e complesso, a causa sia del carattere sia delletà. Come tanti altri
ragazzi delle scuole medie, gli viene istintivo pensare che uno studio formalizzato, che
parte dalla grammatica e da una banca di parole nuove sia lunico metodo per
imparare. Purtroppo non è così: non automaticamente chi era un ottimo e studiosissimo
allievo di scuola cinese (o marocchina, o albanese
) ha ottime performance
linguistiche in L2. Vedere daltro canto che anche le competenze acquisite nella
scuola dorigine (lingua compresa, quindi) sono valorizzate e valutate positivamente
nella scuola italiana come lo erano nella scuola dorigine, può rassicurare anche
gli allievi con maggiori difficoltà linguistiche ed avviare un positivo processo di
autostima. Daltro canto, poter affrontare approfondimenti concettuali in lingua
madre permette di non "perdere terreno" rispetto ai compagni di studio
autoctoni. Limportante è trovare laggancio fra quanto viene approfondito nei
laboratori linguistici e quanto viene studiato in classe: se lallievo che ancora non
parla bene litaliano si trova a dover sostenere una interrogazione di scienze o di
storia analoga a quella dei suoi compagni autoctoni, emergeranno le sue inadeguatezze e i
compagni focalizzeranno su queste la loro attenzione: potranno aiutarlo o prenderlo in
giro; sia la reazione positiva sia quella negativa determinano comunque nellallievo
dorigine straniera un senso di esclusione e inadeguatezza. Ipotizziamo ora che cosa
succede invece quando lallievo presenta alla classe qualcosa di nuovo. I compagni di
classe si trovano a vivere con interesse i contenuti di prima mano e si distraggono dai
difetti di pronuncia o dagli errori di grammatica. Se poi largomento è poco noto
anche allinsegnante, anchegli non si troverà a simulare un interesse per
approfondirlo, ma contribuirà a sua volta in modo naturale alla costruzione del contesto
comunicativo.
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omodeo@cospe-fi.it
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