Il Framework
e litaliano L2
Massimo Vedovelli, Guida llitaliano per stranieri. La prospettiva del Quadro
comune europeo per le lingue, Carocci, Roma 2002, 18,50
Si tratta del primo serio tentativo da parte
italiana di fare i conti sotto un profilo rigorosamente glottodidattico con il documento
europeo "Quadro comune europeo di riferimento per le lingue: apprendimento,
insegnamento, insegnamento, valutazione" uscito in una duplice forma: la prima di
tipo elettronico negli anni 1996-97 e la seconda nella versione cartacea nel 2001.
Non è forse un caso che il saggio glottodidattico
che contiene anche un minuzioso raffronto fra le due versioni, elettronica e cartacea,
giunga da uno studioso come Massimo Vedovelli, che proviene da studi sociolinguistici e di
linguistica acquisizionale.
Ciò sta a testimoniare come tale contributo segni
un raggiunto punto di equilibrio e di saldatura fra le scienze del linguaggio e la
glottodidattica, e ci riferiamo in particolare agli studi di sociolinguistica italiana e a
quelli di linguistica acquisizionale centrati sullapprendimento spontaneo
dellitaliano da parte di stranieri immigrati.
Nel primo capitolo dedicato ai concetti Vedovelli
affronta il tema della definizione sul piano teorico e della collocazione entro un quadro
europeo di politica linguistica del documento intitolato "Quadro comune europeo di
riferimento per le lingue: apprendimento, insegnamento, valutazione" edito dal
Consiglio dEuropa.
In particolare vengono esaminati i destinatari del
documento europeo e le funzioni e gli obiettivi generali del Quadro comune. Dal
versante della politica linguistica lo studioso sottolinea in modo chiaro come il
contributo europeo voglia rappresentare uno strumento di unificazione basato sul rispetto
della diversità linguistica e culturale come valore fondante della cittadinanza europea.
Il richiamo al valore della diversità linguistica
e culturale è particolarmente importante in un momento storico come quello attuale in cui
si elabora la carta costituzionale europea.
Vedovelli ricorda giustamente il carattere
classificatorio del Quadro comune, il suo essere svincolato da rigidi indirizzi
metodologici e didattici e come il suo massimo pregio consista proprio nelloffrire
ai vari destinatari del documento una serie di criteri concettuali per descrivere la
competenza linguistica. Attraverso una minuziosa ricostruzione storica del documento
europeo nella sua duplice versione si arriva a delineare in modo netto il modello teorico
sottostante centrato sul concetto di "uso linguistico" e di "competenza
linguistico-comunicativa".
Una filosofia quindi di impronta
pragmatico-linguistica che coniuga in modo originale i contributi italiani di educazione
linguistica e i nuovi indirizzi glottodidattici che, a partire dagli anni settanta, hanno
caratterizzato la didattica delle lingue moderne. Significativamente Vedovelli ricorda
come le basi teoriche del documento trovino un fondamento negli studi di filosofia del
linguaggio di Ludwig Wittgenstein, in particolare nei suoi richiami al significato inteso
come uso entro i giochi linguistici contestualmente determinati. Si analizza quindi in
modo rigoroso il modello di competenza linguistico-comunicativa esplicitato dal documento
europeo, che risulta articolato nelle sue tre sottocomponenti: linguistica, sociolinguistica
e pragmatica.
Se confrontiamo tale modello con altri modelli
prodotti da differenti studi di matrice glottodidattica, anche di parte italiana (Balboni,
1994; Freddi, Farago Leonardi, Zuanelli Sonino, 1979) possiamo rilevare lassenza di
una ulteriore e distinta sottocomponente, quella extralinguistica del linguaggio non
verbale.
Vedovelli analizza il concetto di attività
linguistica del Quadro comune e quello di abilità elaborato
dalleducazione linguistica italiana e, aggiungiamo noi, anche presente nella maggior
parte dei contributi glottodidattici sullinsegnamento delle lingue straniere e ne fa
un utile raffronto e precisazione. In particolare ci interessa segnalare la riserva di
Vedovelli nellassegnare allattività di interazione uno statuto autonomo
rispetto alla ricezione e produzione come avviene nel documento europeo. Per lo studioso
si tratta piuttosto di "generi di discorso che sono sempre frutto di attività di
produzione comunicativa che si svolgono però secondo la monodirezionalità o la
bidirezionalità dei flussi".
Il primo capitolo termina con una suggestiva
proposta di passaggio dalla linguistica acquisizionale alla didattica acquisizionale che
tenga conto dei processi intrinseci di sviluppo della competenza linguistico-comunicativa.
Nel secondo capitolo Vedovelli analizza uno dei
maggiori contributi del Framework, la descrizione dei livelli di competenza e di
come si articola il continuum di apprendimento.
Per lo studioso risulta basilare ancorare
linsegnamento della lingua alle prospettive delineate dalla linguistica
acquisizionale. Gli stadi di sviluppo dellinterlingua del discente fuori dai
contesti formativi, che sono oggetto di studio descrittivo della linguistica
acquisizionale, devono essere tenuti in considerazione da chi progetta un corso di lingua,
da chi stabilisce una progressione del processo di insegnamento/apprendimento. Si ricorda
come gli studi acquisizionali dellitaliano L2 siano stati rivolti principalmente
alle fasi iniziali e basiche di apprendimento, mentre lo studio delle fasi avanzate sia
cominciato solo di recente.
La nozione di didattica acquisizionale è di
estremo interesse perchè condensa i possibili punti di incontro tra linguistica
acquisizionale e glottodidattica. La didattica acquisizionale dovrebbe fare propria una
adeguata ricostruzione degli stadi dellapprendimento linguistico a cui fare
corrispondere i livelli di competenza nella L2. A questo proposito Vedovelli afferma:
"La didattica acquisizionale dovrebbe esplicitare le condizioni per far sì che il
raggiungimento di tali livelli e la loro successione non entrino in conflitto con i
processi che naturalmente si svolgono o possono svolgersi su sollecitazione dei contesti".
Si passa successivamente ad analizzare la scala che descrive i livelli di competenza
linguistica proposta dal Framework, a cui si correla un modello di profili dei
discenti basato su una tripartizione: utente basico, utente indipendente e utente
competente.
Lidea di progressione di competenza
linguistica sostenuta dal documento europeo si sviluppa in una dimensione verticale che
presuppone appunto lidea di scala, cioè di cesure nette fra stadi diversi di
competenza. Nonostante il richiamo alla non linearità e non omogeneità nelle cesure, e a
una dimensione orizzontale utile a delineare i parametri di gestione dellattività
comunicativa, resta ferma lidea che ogni stadio di competenza linguistica sia
intrinsecamente diverso dal precedente. Si tralascia così, nota giustamente Vedovelli, la
possibilità del non equilibrio che può ritrovarsi in una "varietà di
apprendimento" concetto più mobile di quello di stadio di competenza
linguistica in cui elementi di fossilizzazione "convivono con regole ancora
sensibili ai fattori di evoluzione".
Vedovelli coglie un punto focale del modello
europeo di livelli di competenza linguistica: esso si fonda non su parametri di tipo
strutturale, ma solo di tipo pragmatico globale, cioè basati sulla capacità di uso
linguistico. Si nota giustamente come la presenza di tratti strutturali caratterizzanti il
livello di competenza venga posta in secondo piano rispetto al parametro dellazione
comunicativa e della gestione globale da parte del discente.
In questa prospettiva pragmatica il documento
europeo ritrova il suo principale ancoraggio al patrimonio glottodidattico che si è
sviluppato dagli anni settanta in poi. Il superamento dei metodi formali, lavvento
degli approcci comunicativi trovano proprio nella pragmatica uno dei maggiori sostegni
teorici . Se pensiamo ai contributi di alcuni dei principali linguisti applicati e
glottodidatti (Wilkins, 1976; Munby, 1978; Widdowson, 1978; Oller, 1979) possiamo
constatare la centralità di concetti quali "uso globale della lingua"
"azione comunicativa" "funzione comunicativa" applicati
alla didattica delle lingue straniere.
Cè un punto che forse andrebbe chiarito
maggiormente nellinteressante prospettiva di incontro fra glottodidattica e
linguistica acquisizionale delineata da Vedovelli: gli studi italiani di linguistica
acquisizionale si sono concentrati principalmente sui tratti strutturali delle varietà
interlinguistiche, mettendo in secondo piano i tratti pragmatici rovesciando così
limpostazione del modello europeo di livelli di competenza linguistica. È possibile
una ricomposizione che attribuisca ai tratti pragmatici un maggiore peso negli studi
italiani di linguistica acquisizionale? Se la risposta sarà positiva pensiamo che il
connubio tra le due discipline possa rivelarsi assai fecondo.
Vedovelli svolge unaccurata descrizione dei
livelli di competenza linguistico-comunicativa previsti nel Quadro comune, che potrà
essere di sicuro ausilio a chi cercherà di tradurre la proposta europea in termini
operativi. Non solo ci spiega minuziosamente in che cosa consista la proposta di
articolazione in sei livelli che è ritenuta a ragione la più adeguata alla situazione
media di diffusione delle lingue europee, ma ci fornisce uno dei principali campi di
applicazione del modello europeo, il settore delle certificazioni di competenza
linguistica. In tale prospettiva Vedovelli esamina la CILS Certificazione
di italiano come lingua straniera dellUniversità per Stranieri di Siena e
mostra in modo chiaro la sostanziale corrispondenza tra il modello europeo e la
certificazione italiana pur con alcune importanti variazioni.
Nel terzo capitolo si affronta un tema di estrema
importanza per la glottodidattica cercando di chiarire ogni possibile equivoco. La
questione della testualità e della autenticità dei materiali utilizzati nella didattica
delle lingue straniere. Da una parte si rileva la centralità del testo nel Framework,
dallaltra si osserva come il concetto di autenticità sia marginale nella
concezione della testualità propugnata dal documento europeo. Vedovelli critica
fortemente, e ha perfettamente ragione, una concezione dogmatica che certi autori di
materiali didattici hanno avuto dellidea di autenticità dei testi da
impiegare nella classe di lingua.
In realtà già Widdowson negli anni ottanta aveva
cercato di chiarire la nozione di "autenticità" introducendo una
interessante distinzione tra "genuinità" intesa come esempio di "use"
[uso] e "autenticità" come caratteristica del rapporto esistente tra il
testo e il lettore. Il linguista britannico afferma inoltre: "Chiaramente, un
esempio genuino di "use" non può essere reso autentico se è formato da
strutture sintattiche e da elementi lessicali che il discente non è in grado di capire"
(Widdowson, 1983: 88-90).
Del resto lautore di queste note agli inizi
degli anni novanta aveva scritto: "Che cosa significa "materiali
autentici" ? La nozione di "testo" e la sua contrapposizione alla nozione
di "frase" come abbiamo già visto ci aiuta a sgombrare il campo da molti
equivoci, a rifiutare una lingua "preconfezionata" avulsa da ogni tipo di
contesto, spesso ideata dallinsegnante ad uso e consumo dello studente straniero.
Autenticità della lingua significa quindi conservare le condizioni di testualità, le
specificità "architettoniche" di ogni tipo di testo: questo ovviamente non
preclude il fatto che non sia possibile adattare un testo originale allo studente
straniero, ridurlo, fare dei tagli secondo delle precise esigenze didattiche (ore di
apprendimento, livello linguistico ecc.) perché altrimenti avremmo
uninterpretazione dogmatica e puerile della nozione di "materiale
autentico". Limportante è assicurare un rapporto di "autenticità"
fra il lettore/studente e il testo e questo è possibile se vengono fatte salve le
condizioni per cui un testo esiste per essere scritto o parlato". (Maggini, 1992:
135).
In questo capitolo Vedovelli demolisce il concetto
di "autenticità" dei testi in chiave didattica e, per quanto concerne
litaliano L2, ricorda come ad esempio i testi della comunicazione sociale
appartenenti al genere testuale istruttivo o anche normativo poco si prestino ad essere
utilizzati come campioni di materiali autentici in quanto la lingua utilizzata è ancora
oggi "ampiamente caratterizzata da tratti di formalità che la rendono lingua di
una varietà alta e specialistica, se non addirittura gergale e criptica" e
quindi non comprensibile da un discente straniero. Litaliano, rispetto ad altre
lingue europee, sconta unarretratezza linguistica per quanto concerne la chiarezza,
la precisione e la coerenza dei testi rivolti al pubblico e in tale situazione Vedovelli
lancia una proposta che meriterebbe di essere presa in esame e discussa: "la
glottodidattica dellitaliano L2 può diventare un luogo di elaborazione di modelli
culturali tesi al cambiamento migliorativo della condizione linguistica e culturale della
società italiana".
Nel paragrafo relativo ai criteri di selezione dei
testi a fini didattici suggeriti dal Framework vengono analizzati fattori quali la
complessità linguistica, il tipo di testo, la struttura del discorso, la presentazione
fisica, la lunghezza del testo e limportanza dei contenuti per lapprendente.
La complessità linguistica è un tema ampiamente trattato dalleducazione
linguistica italiana, che annovera Vedovelli fra i suoi maggiori esponenti, e non è un
caso che si citi il ricorso alle formule di leggibilità dei testi che calcolano tutti
quei parametri menzionati dal Framework che costituiscono la complessità
linguistica di un testo. Viene rivolta unesplicita critica al concetto di
semplificazione formulato dal documento europeo in quanto, si dice, si confonde il
concetto di gestione della forma linguistica del testo con quello della sua
semplificazione. Inoltre il Framework avanza una concezione di semplificazione
affidata puramente allaspetto sintattico, mentre dovrebbe riguardare la complessiva
organizzazione del testo. La precisazione Vedovelli è molto importante, perché
contribuisce a fare chiarezza in un panorama italiano caratterizzato da tanti cattivi
divulgatori del concetto di semplificazione dei testi.
Per quanto concerne il concetto di tipo testuale
si sottolinea luniversalità delle categorie di tipologia testuale, almeno di quelle
fondamentali: il tipo narrativo, descrittivo e argomentativo. Tale tripartizione
tipologica rimanda a modalità fondamentali della cognizione.
Le categorie di genere testuale, unaltra
classe astratta di testi concreti formulata dal documento europeo, sono invece marcate
sotto il profilo culturale in quanto le norme strutturali che regolano i generi testuali
prodotti in una determinata lingua sono il risultato dei processi evolutivi della lingua
stessa. Quindi possiamo considerare, suggerisce Vedovelli, i generi testuali come un
obiettivo di apprendimento/insegnamento. Il terzo criterio di selezione testuale indicato
dal Quadro comune è quello della struttura del discorso che rimanda ai fattori di
coerenza testuale e di trasparente organizzazione, di natura implicita o esplicita
dellinformazione, di assenza di contraddizione.
Viene rimarcato positivamente come il documento
europeo abbia posto così un esplicito richiamo alla coerenza, alla chiara organizzazione
tematica, alla disambiguazione delle unità informative in quanto tutto ciò potrebbe
avere una utile ricaduta sul modo in cui vengono formulati i testi di utilità pubblica in
Italia. La presentazione fisica costituisce il quarto criterio di selezione dei testi che
rimanda alla distinzione tra testi scritti e parlati. A questo proposito Vedovelli rileva
criticamente che il Quadro comune non distingue allinterno del parlato generi
differenti. Tale distinzione si renderebbe invece necessaria se si pensa ad una lingua
come litaliano caratterizzata da un continuum della testualità del parlato che ad
un polo si colloca in prossimità dei testi scritti e allaltro opposto invece assume
i tratti del "parlato-parlato". I due ultimi criteri citati di selezione
dei testi sono quello della lunghezza, che rinvia al criterio della leggibilità dei testi
scritti, e quello dellimportanza dei contenuti per lapprendente, che si
collega al fattore motivazionale. Sicuramente questultimo criterio è stato
importante per molti autori di materiali didattici ispirati ai metodi comunicativi.
Le unità didattiche tematiche non sono altro che
un tentativo di sostenere la motivazione dellapprendente fondata sullinteresse
personale verso i contenuti veicolati dalle unità di apprendimento. Quando il documento
europeo presenta un elenco di mezzi nei quali si concretizzano i testi, Vedovelli annota
criticamente che mancano dei criteri espliciti di organizzazione. A questo proposito si
sostiene che "la mancanza di criterio si trasforma in incoerenza e imprecisione:
le canzoni, la recitazione di spettacoli teatrali [...] le notizie radiotelevisive sono
non un parlato-parlato, ma un dire a voce alta qualcosa che è scritto, e che come testo
risente innanzitutto del condizionamento del mezzo scritto". Non è sufficiente
quindi collocare i mezzi vicino ai due estremi costituiti da una parte dalloralità
e dallaltra dallo scritto. [continua]