La seconda parte del saggio, dedicata ai metodi,
si apre con un capitolo centrato sulla comunicazione didattica. Si sviluppa una riflessione
tutta orientata al recupero pedagogico della comunicazione che si svolge in contesto
didattico, spesso trascurata dai metodi dinsegnamento perché considerata poco
"naturale" e "autentica". Si applica una prospettiva semiotica e
sociolinguistica alla realtà comunicativa della classe. Il gruppo classe viene inteso
come contesto di scambi sociali, come universo di socialità nel quale si attivano flussi
di comunicazione didattica. Unaltra puntualizzazione importante della riflessione di
Vedovelli riguarda il rapporto tra lingua e cultura: "La lingua è [...]
intrinsecamente cultura in quanto istanza di formazione, di creazione di identità
mediante le forme del codice". Le implicazioni metodologiche di questo assunto
sono di rilievo: "Il processo di insegnamento e apprendimento della L2 è un
contatto fra culture e si nutre di un gioco di rinvii intertestuali al quale gli
apprendenti sono esposti". Un altro aspetto su cui viene riposta una particolare
attenzione è la qualità e quantità dellinput a cui viene esposto il discente.
Si sottolinea che nella comunicazione didattica il
rischio maggiore potrebbe essere quello di avere un input ristretto a livello qualitativo
per quanto concerne la varietà dei generi testuali e dei modelli di uso comunicativo e a
livello quantitativo per la scarsa densità di stimoli comunicativi.
La questione della ricchezza e della
comprensibilità dellinput linguistico offerto allapprendente è sicuramente
uno temi glottodidattici più importanti. Ricordiamo in questo senso le interessanti
riflessioni di Krashen (Krashen, 1985).
Si introduce successivamente il concetto di "densità
comunicativa" che è una misura della possibilità di far fluire la comunicazione
fra i soggetti che costituiscono il gruppo classe e se ne offre la formula di misurazione.
A chi si occupa di formazione linguistica degli immigrati Vedovelli ricorda il ruolo
positivo e integrativo della comunicazione didattica di classe rispetto alle reti sociali
e comunicative offerte dallambiente di vita del migrante.
Di estremo interesse sotto il profilo strettamente
operativo è il capitolo dedicato allunità didattica. Da tempo nella letteratura
glottodidattica si discute del modello operativo di azione didattica introdotto nel
panorama italiano da Freddi (Freddi, 1966; Freddi, 1970). Chi scrive queste note ha più
volte pubblicamente sottolineato lesigenza di rivedere il concetto di unità
didattica così come ci è stato tramandato dalla letteratura glottodidattica italiana. In
particolare ci pare contestabile la successione lineare e rigida delle fasi in cui essa è
articolata: motivazione, globalità,analisi, sintesi, riflessione, controllo. Già
Titone con il suo modello olodinamico aveva introdotto una maggiore flessibilità
consentendo a una possibile inversione di alcune fasi dellunità didattica (Titone,
1977).
È nostra convinzione che il concetto tradizionale
di unità didattica sia profondamente legato al linguaggio alfabetico, in particolare alla
varietà scritta. Sarebbe pertanto assai discutibile applicare tale nozione al linguaggio
multimediale, in particolare alla forma ipertestuale, per sua natura di strutturazione non
lineare. Concordiamo perciò pienamente con Vedovelli quando intende il concetto di unità
didattica solo nel senso di una struttura logica di funzioni e di operazioni non
necessariamente coincidente con la sequenza concreta delle attività che linsegnante
mette in atto. Si precisa che si tratta "di una sequenza strutturata di
interazioni sociali e comunicative che coinvolgono il docente e i corsisti in un gioco di
rapporti sociali mediato dalla comunicazione [...] In questa prospettiva lunità
didattica è semplicemente unistanza logica, una proposta di riorganizzazione del
flusso di interazioni sociali e comunicative che sono finalizzate al raggiungimento degli
obiettivi formativi". Quindi il modello operativo di azione didattica va inteso
essenzialmente come struttura categoriale, come istanza concettuale che linsegnante
utilizza nella didassi di classe.
Il nodo centrale di senso dellunità
didattica è per Vedovelli il testo, di cui il Framework europeo sottolinea
la centralità. Il testo deve rispondere ai bisogni comunicativi ed è un modello di uso
linguistico-comunicativo. Lo schema di unità didattica che Vedovelli ci propone vede la
presenza di queste categorie concettuali: la contestualizzazione culturale e
comunicativa dellinput testuale che corrisponde alla fase della motivazione; la verifica
della comprensione degli elementi fondanti, della macrostruttura tematica
dellinput testuale che corrisponde alla comprensione globale del testo; le
attività di comunicazione intese come vero e proprio motore di sviluppo della
competenza linguistico-comunicativa; la riflessione metalinguistica e metacomunicativa
da attivare sulle attività di comunicazione; le attività di rinforzo che hanno
solo la funzione di consolidare la competenza di uso della lingua; infine loutput
inteso sia come capacità duso della lingua al di fuori del contesto comunicativo di
tipo didattico, sia come verifica in uscita per il controllo del raggiungimento degli
obiettivi particolari ai quali lunità didattica è stata orientata.
Negli ultimi due capitoli Vedovelli affronta il
tema dei percorsi didattici e quello degli strumenti per la loro programmazione. Si parte
da unanalisi delle caratteristiche della lingua italiana come L2 definita come
lingua di contatto e si perviene ad una visione a carattere sociolinguistico
dellassetto linguistico della società italiana. Le lingue immigrate, si afferma,
stanno trasformando le caratteristiche dello spazio linguistico italiano e i parlanti
nativi assumono negli scambi comunicativi con gli immigrati il ruolo di maestri di lingua.
Il rapporto tra apprendimento spontaneo della lingua e quello guidato in ambito formativo
è per Vedovelli basilare per delineare una prospettiva glottodidattica fondata
scientificamente: "Nelle interazioni sociali che non siano quelle didattiche ha
luogo unaltra manifestazione del rapporto fra apprendimento e insegnamento, questo
secondo strutturandosi secondo le forme della spontaneità del rapporto comunicativo. Di
nuovo, apprendimento e insegnamento nelle loro manifestazioni formali e strutturate da un
lato, informali e spontaneee dallaltro, costituiscono un nucleo inscindibile".
La centralità dellapprendente nel processo
di apprendimento linguistico riaffermata dal documento europeo pone la questione di
definire la figura del discente. Lindagine Italiano 2000 (De Mauro,
Vedovelli, 2001), citata dallautore, rivela per la lingua italiana una variabilità
delle condizioni di sua diffusione nel mondo accompagnata ad una pluralità dei profili di
apprendente, ad una differenziazione dei bisogni e motivazioni di apprendimento.
Vedovelli presenta allora alcuni profili del
pubblico dellitaliano L2: quello delladulto straniero immigrato in Italia,
quello del bambino di famiglia immigrata in Italia, quello dellapprendente straniero
nel proprio paese (giovane e adulto, anziano) e quello dellapprendente di origine
italiana sia adulto che giovanissimo. Ne vengono definiti con precisione i bisogni
linguistici e i domini cioè gli ambiti di esperienza, di saperi e di socialità
nei quali lapprendente si trova a svolgere la propria vita e a interagire
comunicativamente. Il termine dominio utilizzato dalla sociolinguistica americana e
ripreso dai documenti del Consiglio dEuropa, in particolare dal Framework rimanda
al concetto di macroarea, di macrosituazione comunicativa.
Le tabelle riportate da Vedovelli sui profili degli
apprendenti dellitaliano L2 sono articolate sulle seguenti voci: la macroarea o
dominio, larticolazione dei bisogni di comunicazione, le funzioni che possono essere
svolte dagli enti formativi, i tipi di testi da utilizzare con quella tipologia di
apprendente, gli eventi e atti di comunicazione che non sono altro che gli atti
comunicativi che lapprendente deve mettere in atto nellinterazione linguistica
con i suoi interlocutori, le offerte concrete possibili delle agenzie formative quali, ad
esempio, quelle di presentare delle apposite unità didattiche oppure degli sportelli
informativi.
Lanalisi dei bisogni linguistici dei discenti
stranieri teorizzata da numerosi contributi in ambito europeo (Richterich, Chanterel,
1977; Porcher, 1980) e riaffermata dal Quadro comune europeo è posta al centro dei
compiti dei docenti, i quali nella progettazione dei concreti percorsi formativi dovranno
tenere conto sia delle reali situazioni didattiche in cui si trovano ad operare, sia dei
bisogni comunicativi del proprio pubblico.
Lindagine Italiano 2000, di cui
Vedovelli è stato uno degli autori, evidenzia elementi di profonda novità in relazione
alle motivazioni allapprendimento della nostra lingua da parte di stranieri rispetto
ad unaltra indagine realizzata alla fine degli anni settanta dallIstituto per
lEnciclopedia italiana sotto la direzione di Ignazio Baldelli. Se lindagine
dellEnciclopedia italiana rilevava come la motivazione principale allo studio della
lingua italiana fosse collegata alla sua identità di lingua di cultura che rinviava alla
grande tradizione artistica e letteraria italiana, invece lindagine di Vedovelli ci
ha mostrato come lo spettro delle motivazioni sia più differenziato e in particolare come
la motivazione professionale sia particolarmente importante (lavorare con litaliano
è la ragione principale della scelta di più del 20% degli stranieri che allestero
studia la nostra lingua).
Vedovelli afferma: "La principale ragione
dellampliamento dei fattori di attrazione della nostra lingua sta nella mutata
posizione dellItalia nel sistema mondiale delleconomia, della produzione e dei
commerci". A delle conclusioni analoghe pur in una prospettiva diversa erano
giunte le riflessioni contenute in due successive indagini condotte da chi scrive queste
note (Maggini, Parigi, 1983; Maggini, 1995). La prospettiva di indagine era diversa
rispetto alle sopracitate inchieste perchè indirizzata, su scala molto più circoscritta,
a fotografare un pubblico di discenti stranieri che studiava litaliano in Italia, in
particolare prima presso la Scuola di Lingua e Cultura Italiana per Stranieri di Siena e
successivamente presso lUniversità per Stranieri di Siena.
In ambedue le indagini, condotte a distanza di
circa dieci anni, emergeva uno stesso dato: lo spettro delle motivazioni
allapprendimento della nostra lingua risultava assai più differenziato rispetto a
quello fotografato dallEnciclopedia Italiana. Particolare importanza veniva
accordata alla motivazione di studiare litaliano quale lingua di contatto sociale
con i parlanti nativi, ma anche le motivazioni professionali erano piuttosto sentite nei
corsi avanzati di lingua.
Nellultimo capitolo Vedovelli presenta una
serie di griglie di analisi di materiali didattici che devono essere considerate delle
batterie concettuali utili ad docente di lingua allorché effettua delle scelte in modo
consapevole. Il concetto di programmazione delleducazione linguistica viene esteso
allitaliano L2 e se ne rintracciano le origini storiche nel modello di
programmazione proposto dai Nuovi programmi della scuola media del 1979. Uno dei
primi strumenti di programmazione delleducazione linguistica è stato il Glotto-kit
elaborato da De Mauro e dai suoi allievi. Il Glotto-kit è un insieme di
indicatori, parametri, procedure per costruire un profilo linguistico dello studente e del
suo ambiente. La versione standard di questa sorta di carta di identità linguistica e
socioculturale dellapprendente (il concetto di carta didentità linguistica è
entrato in ambito europeo con il concetto di Portfolio Europeo delle Lingue) prende
in considerazione alcune abilità fondamentali quali il parlato, la lettura,
la scrittura, il lessico, la sintassi. Ogni tratto linguistico è
considerato tramite degli indicatori che possono consentire una quantificazione, quali, ad
esempio, lindice di fluenza nel parlato, lindice di ricchezza
ricettiva del vocabolario di base della lingua italiana (De Mauro, 1980), lindice
di capacità di mobilità sintattica (la capacità di passare dallipotassi alla
paratassi e viceversa), lindice di capacità di interrompere per formulare richieste
pertinenti di spiegazione (capacità di tipo comunicativo), lindice di
capacità di prendere appunti, lindice della capacità di riferire
oralmente e per iscritto sulla base di appunti, lindice di ricchezza lessicale
ricettiva su campioni di vocabolario più ampio di quello di base della lingua
italiana. Gli indici che sono stati ricordati ad esempio degli indicatori linguistici
tratteggiati da Vedovelli non sono stati scelti a caso, ma ci paiono pertinenti ad un
discorso rivolto allitaliano L2 e potrebbero rivelarsi utili allinsegnante di
lingua quando elabora i profili dei propri discenti.
Gli indicatori socioculturali concernono invece
letà, il titolo di studio, la professione dei genitori, le letture e le attività
nel tempo libero, gli spazi a disposizione dellallievo per lo studio. Gli indicatori
sociolinguistici invece riguardano luso dellitaliano e del dialetto in
situazioni informali e formali.
Se torniamo ad una prospettiva che guarda
allitaliano L2 è utile esaminare una successiva versione del Glotto-kit
indirizzata a bambini stranieri (Villarini, 1995). Vedovelli ci presenta le tre sezioni in
cui è articolata questa versione: rilevazione della condizione socioculturale,
rilevazione della condizione linguistica che prende in esame non solo litaliano ma
anche le altre lingue presenti nelle scuole, la rilevazione di altre abilità cognitive.
Di particolare importanza ci sembrano gli indici del profilo fono-morfo-sintattico e della
fluenza del parlato che vengono rilevati mediante la registrazione di una conversazione
fra discente e docente su un argomento familiare allallievo. Anche la prova di
ripetizione di frasi che ha lo scopo di testare la capacità di memorizzazione a breve
termine, che è la memoria di lavoro, e la prova di esecuzione di consegne che ha
lobiettivo di verificare la capacità di comprensione tramite la realizzazione di
azioni, ci paiono rilevanti in una prospettiva orientata alla didattica dellitaliano
L2 per bambini stranieri. Lultima prova menzionata trova forse non casuali
coincidenze con un metodo glottodidattico denominato Total Physical Response
(Asher, 1979) basato sullesecuzione di ordini impartiti dallinsegnante, metodo
ripreso in ambito italiano nellinsegnamento dellitaliano L2 ai bambini
stranieri dal gruppo milanese del Centro Come che si è costituito attorno alla
figura di Graziella Favaro.
Di estrema utilità per linsegnante di lingua
è la griglia di analisi dei materiali e dei programmi didattici per litaliano L2
presentata da Vedovelli quale strumento per la programmazione degli interventi didattici.
Ricordiamo solo alcune voci di questa griglia che ci paiono particolarmente importanti:
lidentificazione del tipo di materiale didattico, il rilevare se esista oppure no
unanalisi esplicita dei destinatari dei materiali e nel caso positivo il controllo
dei parametri usati per delineare le loro caratteristiche linguistiche, culturali,
professionali, di età, i modelli implici o espliciti di riferimento esistenti nei
materiali in relazione alla teoria linguistica e alla teoria dellapprendimento, i
modelli glottodidattici di riferimento, lanalisi dei parametri usati dal
materiale/programma per esplicitare i livelli di competenza linguistico-comunicativa cui
è orientato, la quantità e la qualità delle indicazioni offerte agli studenti dai
materiali, lanalisi della struttura del sillabo soggiacente al materiale/programma,
la valutazione inerente il grado di rigidità/flessibilità dei programmi, dei contenuti
linguistici e culturali, delle indicazioni didattiche, delluso dei materiali che
chiama in causa la gestione più o meno autonoma del docente degli strumenti di
insegnamento e infine la valutazione del grado di generalità/specificità dei programmi
che è strettamente correlato con il tipo di destinatari e di competenze prese in esame
dal materiale/programma.
Massimo Maggini
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