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N. 4
novembre-dicembre 2002
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Il Framework e l’italiano L2 [pagina 2] [torna alla pagina 1]

La seconda parte del saggio, dedicata ai metodi, si apre con un capitolo centrato sulla comunicazione didattica. Si sviluppa una riflessione tutta orientata al recupero pedagogico della comunicazione che si svolge in contesto didattico, spesso trascurata dai metodi d’insegnamento perché considerata poco "naturale" e "autentica". Si applica una prospettiva semiotica e sociolinguistica alla realtà comunicativa della classe. Il gruppo classe viene inteso come contesto di scambi sociali, come universo di socialità nel quale si attivano flussi di comunicazione didattica. Un’altra puntualizzazione importante della riflessione di Vedovelli riguarda il rapporto tra lingua e cultura: "La lingua è [...] intrinsecamente cultura in quanto istanza di formazione, di creazione di identità mediante le forme del codice". Le implicazioni metodologiche di questo assunto sono di rilievo: "Il processo di insegnamento e apprendimento della L2 è un contatto fra culture e si nutre di un gioco di rinvii intertestuali al quale gli apprendenti sono esposti". Un altro aspetto su cui viene riposta una particolare attenzione è la qualità e quantità dell’input a cui viene esposto il discente.

Si sottolinea che nella comunicazione didattica il rischio maggiore potrebbe essere quello di avere un input ristretto a livello qualitativo per quanto concerne la varietà dei generi testuali e dei modelli di uso comunicativo e a livello quantitativo per la scarsa densità di stimoli comunicativi.

La questione della ricchezza e della comprensibilità dell’input linguistico offerto all’apprendente è sicuramente uno temi glottodidattici più importanti. Ricordiamo in questo senso le interessanti riflessioni di Krashen (Krashen, 1985).

Si introduce successivamente il concetto di "densità comunicativa" che è una misura della possibilità di far fluire la comunicazione fra i soggetti che costituiscono il gruppo classe e se ne offre la formula di misurazione. A chi si occupa di formazione linguistica degli immigrati Vedovelli ricorda il ruolo positivo e integrativo della comunicazione didattica di classe rispetto alle reti sociali e comunicative offerte dall’ambiente di vita del migrante.

Di estremo interesse sotto il profilo strettamente operativo è il capitolo dedicato all’unità didattica. Da tempo nella letteratura glottodidattica si discute del modello operativo di azione didattica introdotto nel panorama italiano da Freddi (Freddi, 1966; Freddi, 1970). Chi scrive queste note ha più volte pubblicamente sottolineato l’esigenza di rivedere il concetto di unità didattica così come ci è stato tramandato dalla letteratura glottodidattica italiana. In particolare ci pare contestabile la successione lineare e rigida delle fasi in cui essa è articolata: motivazione, globalità,analisi, sintesi, riflessione, controllo. Già Titone con il suo modello olodinamico aveva introdotto una maggiore flessibilità consentendo a una possibile inversione di alcune fasi dell’unità didattica (Titone, 1977).

È nostra convinzione che il concetto tradizionale di unità didattica sia profondamente legato al linguaggio alfabetico, in particolare alla varietà scritta. Sarebbe pertanto assai discutibile applicare tale nozione al linguaggio multimediale, in particolare alla forma ipertestuale, per sua natura di strutturazione non lineare. Concordiamo perciò pienamente con Vedovelli quando intende il concetto di unità didattica solo nel senso di una struttura logica di funzioni e di operazioni non necessariamente coincidente con la sequenza concreta delle attività che l’insegnante mette in atto. Si precisa che si tratta "di una sequenza strutturata di interazioni sociali e comunicative che coinvolgono il docente e i corsisti in un gioco di rapporti sociali mediato dalla comunicazione [...] In questa prospettiva l’unità didattica è semplicemente un’istanza logica, una proposta di riorganizzazione del flusso di interazioni sociali e comunicative che sono finalizzate al raggiungimento degli obiettivi formativi". Quindi il modello operativo di azione didattica va inteso essenzialmente come struttura categoriale, come istanza concettuale che l’insegnante utilizza nella didassi di classe.

Il nodo centrale di senso dell’unità didattica è per Vedovelli il testo, di cui il Framework europeo sottolinea la centralità. Il testo deve rispondere ai bisogni comunicativi ed è un modello di uso linguistico-comunicativo. Lo schema di unità didattica che Vedovelli ci propone vede la presenza di queste categorie concettuali: la contestualizzazione culturale e comunicativa dell’input testuale che corrisponde alla fase della motivazione; la verifica della comprensione degli elementi fondanti, della macrostruttura tematica dell’input testuale che corrisponde alla comprensione globale del testo; le attività di comunicazione intese come vero e proprio motore di sviluppo della competenza linguistico-comunicativa; la riflessione metalinguistica e metacomunicativa da attivare sulle attività di comunicazione; le attività di rinforzo che hanno solo la funzione di consolidare la competenza di uso della lingua; infine l’output inteso sia come capacità d’uso della lingua al di fuori del contesto comunicativo di tipo didattico, sia come verifica in uscita per il controllo del raggiungimento degli obiettivi particolari ai quali l’unità didattica è stata orientata.

Negli ultimi due capitoli Vedovelli affronta il tema dei percorsi didattici e quello degli strumenti per la loro programmazione. Si parte da un’analisi delle caratteristiche della lingua italiana come L2 definita come lingua di contatto e si perviene ad una visione a carattere sociolinguistico dell’assetto linguistico della società italiana. Le lingue immigrate, si afferma, stanno trasformando le caratteristiche dello spazio linguistico italiano e i parlanti nativi assumono negli scambi comunicativi con gli immigrati il ruolo di maestri di lingua. Il rapporto tra apprendimento spontaneo della lingua e quello guidato in ambito formativo è per Vedovelli basilare per delineare una prospettiva glottodidattica fondata scientificamente: "Nelle interazioni sociali che non siano quelle didattiche ha luogo un’altra manifestazione del rapporto fra apprendimento e insegnamento, questo secondo strutturandosi secondo le forme della spontaneità del rapporto comunicativo. Di nuovo, apprendimento e insegnamento nelle loro manifestazioni formali e strutturate da un lato, informali e spontaneee dall’altro, costituiscono un nucleo inscindibile".

La centralità dell’apprendente nel processo di apprendimento linguistico riaffermata dal documento europeo pone la questione di definire la figura del discente. L’indagine Italiano 2000 (De Mauro, Vedovelli, 2001), citata dall’autore, rivela per la lingua italiana una variabilità delle condizioni di sua diffusione nel mondo accompagnata ad una pluralità dei profili di apprendente, ad una differenziazione dei bisogni e motivazioni di apprendimento.

Vedovelli presenta allora alcuni profili del pubblico dell’italiano L2: quello dell’adulto straniero immigrato in Italia, quello del bambino di famiglia immigrata in Italia, quello dell’apprendente straniero nel proprio paese (giovane e adulto, anziano) e quello dell’apprendente di origine italiana sia adulto che giovanissimo. Ne vengono definiti con precisione i bisogni linguistici e i domini cioè gli ambiti di esperienza, di saperi e di socialità nei quali l’apprendente si trova a svolgere la propria vita e a interagire comunicativamente. Il termine dominio utilizzato dalla sociolinguistica americana e ripreso dai documenti del Consiglio d’Europa, in particolare dal Framework rimanda al concetto di macroarea, di macrosituazione comunicativa.

Le tabelle riportate da Vedovelli sui profili degli apprendenti dell’italiano L2 sono articolate sulle seguenti voci: la macroarea o dominio, l’articolazione dei bisogni di comunicazione, le funzioni che possono essere svolte dagli enti formativi, i tipi di testi da utilizzare con quella tipologia di apprendente, gli eventi e atti di comunicazione che non sono altro che gli atti comunicativi che l’apprendente deve mettere in atto nell’interazione linguistica con i suoi interlocutori, le offerte concrete possibili delle agenzie formative quali, ad esempio, quelle di presentare delle apposite unità didattiche oppure degli sportelli informativi.

L’analisi dei bisogni linguistici dei discenti stranieri teorizzata da numerosi contributi in ambito europeo (Richterich, Chanterel, 1977; Porcher, 1980) e riaffermata dal Quadro comune europeo è posta al centro dei compiti dei docenti, i quali nella progettazione dei concreti percorsi formativi dovranno tenere conto sia delle reali situazioni didattiche in cui si trovano ad operare, sia dei bisogni comunicativi del proprio pubblico.

L’indagine Italiano 2000, di cui Vedovelli è stato uno degli autori, evidenzia elementi di profonda novità in relazione alle motivazioni all’apprendimento della nostra lingua da parte di stranieri rispetto ad un’altra indagine realizzata alla fine degli anni settanta dall’Istituto per l’Enciclopedia italiana sotto la direzione di Ignazio Baldelli. Se l’indagine dell’Enciclopedia italiana rilevava come la motivazione principale allo studio della lingua italiana fosse collegata alla sua identità di lingua di cultura che rinviava alla grande tradizione artistica e letteraria italiana, invece l’indagine di Vedovelli ci ha mostrato come lo spettro delle motivazioni sia più differenziato e in particolare come la motivazione professionale sia particolarmente importante (lavorare con l’italiano è la ragione principale della scelta di più del 20% degli stranieri che all’estero studia la nostra lingua).

Vedovelli afferma: "La principale ragione dell’ampliamento dei fattori di attrazione della nostra lingua sta nella mutata posizione dell’Italia nel sistema mondiale dell’economia, della produzione e dei commerci". A delle conclusioni analoghe pur in una prospettiva diversa erano giunte le riflessioni contenute in due successive indagini condotte da chi scrive queste note (Maggini, Parigi, 1983; Maggini, 1995). La prospettiva di indagine era diversa rispetto alle sopracitate inchieste perchè indirizzata, su scala molto più circoscritta, a fotografare un pubblico di discenti stranieri che studiava l’italiano in Italia, in particolare prima presso la Scuola di Lingua e Cultura Italiana per Stranieri di Siena e successivamente presso l’Università per Stranieri di Siena.

In ambedue le indagini, condotte a distanza di circa dieci anni, emergeva uno stesso dato: lo spettro delle motivazioni all’apprendimento della nostra lingua risultava assai più differenziato rispetto a quello fotografato dall’Enciclopedia Italiana. Particolare importanza veniva accordata alla motivazione di studiare l’italiano quale lingua di contatto sociale con i parlanti nativi, ma anche le motivazioni professionali erano piuttosto sentite nei corsi avanzati di lingua.

Nell’ultimo capitolo Vedovelli presenta una serie di griglie di analisi di materiali didattici che devono essere considerate delle batterie concettuali utili ad docente di lingua allorché effettua delle scelte in modo consapevole. Il concetto di programmazione dell’educazione linguistica viene esteso all’italiano L2 e se ne rintracciano le origini storiche nel modello di programmazione proposto dai Nuovi programmi della scuola media del 1979. Uno dei primi strumenti di programmazione dell’educazione linguistica è stato il Glotto-kit elaborato da De Mauro e dai suoi allievi. Il Glotto-kit è un insieme di indicatori, parametri, procedure per costruire un profilo linguistico dello studente e del suo ambiente. La versione standard di questa sorta di carta di identità linguistica e socioculturale dell’apprendente (il concetto di carta d’identità linguistica è entrato in ambito europeo con il concetto di Portfolio Europeo delle Lingue) prende in considerazione alcune abilità fondamentali quali il parlato, la lettura, la scrittura, il lessico, la sintassi. Ogni tratto linguistico è considerato tramite degli indicatori che possono consentire una quantificazione, quali, ad esempio, l’indice di fluenza nel parlato, l’indice di ricchezza ricettiva del vocabolario di base della lingua italiana (De Mauro, 1980), l’indice di capacità di mobilità sintattica (la capacità di passare dall’ipotassi alla paratassi e viceversa), l’indice di capacità di interrompere per formulare richieste pertinenti di spiegazione (capacità di tipo comunicativo), l’indice di capacità di prendere appunti, l’indice della capacità di riferire oralmente e per iscritto sulla base di appunti, l’indice di ricchezza lessicale ricettiva su campioni di vocabolario più ampio di quello di base della lingua italiana. Gli indici che sono stati ricordati ad esempio degli indicatori linguistici tratteggiati da Vedovelli non sono stati scelti a caso, ma ci paiono pertinenti ad un discorso rivolto all’italiano L2 e potrebbero rivelarsi utili all’insegnante di lingua quando elabora i profili dei propri discenti.

Gli indicatori socioculturali concernono invece l’età, il titolo di studio, la professione dei genitori, le letture e le attività nel tempo libero, gli spazi a disposizione dell’allievo per lo studio. Gli indicatori sociolinguistici invece riguardano l’uso dell’italiano e del dialetto in situazioni informali e formali.

Se torniamo ad una prospettiva che guarda all’italiano L2 è utile esaminare una successiva versione del Glotto-kit indirizzata a bambini stranieri (Villarini, 1995). Vedovelli ci presenta le tre sezioni in cui è articolata questa versione: rilevazione della condizione socioculturale, rilevazione della condizione linguistica che prende in esame non solo l’italiano ma anche le altre lingue presenti nelle scuole, la rilevazione di altre abilità cognitive. Di particolare importanza ci sembrano gli indici del profilo fono-morfo-sintattico e della fluenza del parlato che vengono rilevati mediante la registrazione di una conversazione fra discente e docente su un argomento familiare all’allievo. Anche la prova di ripetizione di frasi che ha lo scopo di testare la capacità di memorizzazione a breve termine, che è la memoria di lavoro, e la prova di esecuzione di consegne che ha l’obiettivo di verificare la capacità di comprensione tramite la realizzazione di azioni, ci paiono rilevanti in una prospettiva orientata alla didattica dell’italiano L2 per bambini stranieri. L’ultima prova menzionata trova forse non casuali coincidenze con un metodo glottodidattico denominato Total Physical Response (Asher, 1979) basato sull’esecuzione di ordini impartiti dall’insegnante, metodo ripreso in ambito italiano nell’insegnamento dell’italiano L2 ai bambini stranieri dal gruppo milanese del Centro Come che si è costituito attorno alla figura di Graziella Favaro.

Di estrema utilità per l’insegnante di lingua è la griglia di analisi dei materiali e dei programmi didattici per l’italiano L2 presentata da Vedovelli quale strumento per la programmazione degli interventi didattici. Ricordiamo solo alcune voci di questa griglia che ci paiono particolarmente importanti: l’identificazione del tipo di materiale didattico, il rilevare se esista oppure no un’analisi esplicita dei destinatari dei materiali e nel caso positivo il controllo dei parametri usati per delineare le loro caratteristiche linguistiche, culturali, professionali, di età, i modelli implici o espliciti di riferimento esistenti nei materiali in relazione alla teoria linguistica e alla teoria dell’apprendimento, i modelli glottodidattici di riferimento, l’analisi dei parametri usati dal materiale/programma per esplicitare i livelli di competenza linguistico-comunicativa cui è orientato, la quantità e la qualità delle indicazioni offerte agli studenti dai materiali, l’analisi della struttura del sillabo soggiacente al materiale/programma, la valutazione inerente il grado di rigidità/flessibilità dei programmi, dei contenuti linguistici e culturali, delle indicazioni didattiche, dell’uso dei materiali che chiama in causa la gestione più o meno autonoma del docente degli strumenti di insegnamento e infine la valutazione del grado di generalità/specificità dei programmi che è strettamente correlato con il tipo di destinatari e di competenze prese in esame dal materiale/programma.

Massimo Maggini

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Riferimenti bibliografici

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