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Redazione:
Mariadonata Costantini  Elisabetta Jafrancesco  Leonardo Gandi
Massimo Maggini
Fiorenza Quercioli
Camilla Salvi
Annarita Zacchi

Webmaster: Leonardo Gandi

QUADRIMESTRALE A CURA DI

N. 7
settembre-dicembre 2003
numeri precedenti

Insegnanti Italiano Lingua Seconda Associati


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Un curriculum di scrittura per gli studenti Erasmus/Socrates in Italia (1)
Bianca Battaggion, Camilla Salvi

Introduzione
Nel 1999-2000 gli studenti stranieri in mobilità nel programma "Erasmus" accolti nelle università italiane sono stati circa 18.000. Complessivamente, nel periodo 1997-2000 circa 50.000 studenti stranieri hanno partecipato a questo genere di scambi e studiato nei nostri Atenei
(2). Non si tratta degli unici programmi di mobilità presenti in Europa: alla positiva esperienza di un corso di studi che può svolgersi in parte all’estero si sono aggiunte quelle forme di "European Studies" che coinvolgono diverse università europee e prevedono la possibilità di frequentare corsi di laurea "geograficamente" misti, istituzionalmente riconosciuti come tali. Il diffondersi di questo tipo di esperienze porta con sé profonde trasformazioni sia di tipo didattico (contenuti, valutazioni, programmi…) che di tipo organizzativo (calendari, riconoscimenti, accoglienza …).

Nonostante su questo fenomeno sia già stato molto scritto e dibattuto (3) è molto difficile definire in modo generale una tipologia degli studenti Erasmus il cui profilo varia a seconda dei paesi di provenienza, del tipo di borsa, delle facoltà ospitanti, delle materie di studio, dei progetti individuali del candidato, degli accordi tra istituti, tra singoli docenti … Come si vede le variabili sono aperte, numerose e soggette a continue modificazioni talvolta indipendenti dai fattori accademici stessi. Se da un lato questa dinamica imponderabile rende difficile l’approfondimento delle riflessioni su questo argomento (limitandone completezza e validità scientifica), dall’altro mette in evidenza la necessità e attualità di questo approfondimento. All’interno del complesso insieme di tipologie dello studente in mobilità abbiamo voluto isolarne due ricorrenti in rapporto alle nostre esperienze (4).

  • Per un primo gruppo di studenti selezionati per questi programmi, il soggiorno di studio all’estero può risultare limitato alla semplice esperienza di un mondo accademico differente, esplorabile attraverso la frequenza dei corsi in una serie di materie predefinite. Lo studente concorda un piano di esami con i docenti ospiti, precedentemente organizzato nella università di partenza, anche se spesso passibile di modificazione. Sarà sicuramente un’esperienza importante, ma non ancora inserita in un progetto finalizzato alla acquisizione di una serie di "abilità professionali" (employment-abilities) utilizzabili alla fine degli studi (modello viaggio di formazione).
  • Per un secondo gruppo lo stesso soggiorno può anche diventare il punto di partenza di un percorso di ricerca molto più mirato e spesso più chiaramente motivato, dove lo studente costruisce, per così dire, le basi di una rete di contatti che potrà rivelarsi fondamentale per il suo futuro profilo accademico e/o professionale. In questo caso dovrà, insieme agli obiettivi finali del suo programma, definire i modi e le forme che gli permetteranno di conseguirli. All’interno di questi uno strumento indispensabile è la formulazione scritta dei contenuti che fanno parte di questa strategia.

Di fronte a questa parziale classificazione, che tuttavia ha una sua utilità come punto di partenza per la pratica didattica, come insegnanti di lingua ci siamo poste due domande di base, riguardanti soprattutto il gruppo tipologico che abbiamo indicato per secondo. A che cosa e come preparare questi studenti per affrontare questo genere di programmi di mobilità?

Mentre il primo tipo di studenti infatti è orientato verso un’esperienza più globale e, in un certo senso, finalizzata a se stessa, il secondo gruppo richiede già prima di partire di poter acquisire strumenti adeguati per raggiungere al più presto e meglio i propri obiettivi. Tra questi strumenti è inclusa non solo quella base di competenza linguistica dalla quale non si può prescindere, ma anche una preparazione specifica che, secondo un approccio interculturale, faciliterà il pieno inserimento di questi studenti nel sistema accademico del paese scelto. Come si è già detto abbiamo individuato nella scrittura un’abilità insostituibile in questo processo.

La scrittura nelle università italiane
La questione specifica delle abilità di scrittura degli studenti in mobilità si va a inserire nel complesso dibattito, ancora aperto e attuale, intorno al tema della scrittura accademica nelle università italiane. Da esso emerge in particolare che:

  • nelle università italiane si scrive poco in confronto ad altre realtà europee (5)
  • nelle università italiane si scrive male (6)
  • nelle università italiane non si è finora insegnato a scrivere, né si insegna a insegnare a scrivere (7)

È vero che la situazione sta cambiando: la trasformazione investe con fenomeni ed esperienze interessanti già il livello della scuola superiore (dove i risultati e le forze in gioco sono più evidenti e dove nascono modelli esemplari e stimolanti) (8), ma non mancano progetti ed esperimenti specificamente rivolti alla didattica della scrittura anche in alcune università (9).

Tra le ragioni di questa latitanza, una tradizione didattica che prevede verifiche quasi esclusivamente orali, con l’eccezione paradossale della verifica conclusiva e più determinante rappresentata dalla tesi di laurea, molto più impegnativa dal punto di vista redazionale di qualsiasi altro corrispondente europeo equivalente (master, Magister...) ma il più delle volte valutata prevalentemente per i suoi contenuti (10).

È tuttavia possibile tratteggiare una parziale tipologia di documenti accademici scritti che ogni studente, almeno una volta, si troverà a dover realizzare:

  • Presentazione di sé e della propria ricerca
  • Progetto di ricerca
  • Relazione seminariale
  • Appunti
  • Schede di libri
  • Tesine
  • Resoconti finali

A questa lista si aggiungono le lettere di contatto, ovvero quelle forme scritte che possono comprendere parti dei documenti precedentemente elencati (una lettera di contatto può cominciare con la presentazione di sé e della propria ricerca) insieme a richieste specifiche formulate in modo più diretto e personalizzato. Ciascuno di questi documenti fa parte di un "genere" e deve sottostare alle regole e convenzioni relative sia al genere stesso, sia alla comunità accademica di riferimento (11).

È forse utile fare qualche esempio: scrivere una lettera di contatto significa conoscere le convenzioni che regolano l’approccio interpersonale, dunque il grado di distanza che obbliga a una maggiore o minore formalità, la scelta del registro, l’uso di determinate formule di apertura e di chiusura, l’uso di forme di mitigazione e di quei segnali metadiscorsivi che attenuano, valorizzano, enfatizzano, chiarificano e guidano in generale la lettura del testo secondo le finalità dell’autore.

Questa competenza retorico/pragmatica è necessaria anche nella redazione di alcuni dei documenti sopraelencati, quelli cioè che hanno un referente pubblico, un destinatario istituzionale. Se appunti e schede sono in fondo una forma di scrittura personale, dunque "libera", i restanti documenti non possono prescindere da una considerazione dell’istituzione accademica come "fatto culturale" (12).

L’idea stessa della scrittura accademica come "genere", nel momento in cui stabilisce un legame fondamentale con la comunità discorsiva che si serve dei generi per la realizzazione dei suoi scopi comunicativi, orienta in questa direzione e condiziona da vicino la definizione delle finalità dell’insegnamento delle abilità di scrittura.

L’obiettivo di un corso di scrittura accademica dovrebbe essere l’acquisizione di una delle componenti di base di quella academic literacy che permette a chiunque, straniero o no, di muoversi con successo nel programma di studi prescelto. Chi ha studiato all’università sa che per arrivare in fondo a un corso di laurea o di dottorato è anche necessaria una certa capacità strategica, una serie di competenze e abilità che riguardano soprattutto il "saper studiare". Tra queste la scrittura è centrale non tanto perché funzionale al tipo di prestazioni richieste negli anni di studio (dato che, come si è già detto, le università italiane sono più orientate sulla verifica orale) quanto perché è nella scrittura finale della tesi, possibile punto di partenza per eventuali pubblicazioni (la famosa "dignità di stampa"), che si concretizza l’esperienza accademica come "iniziazione" a una specifica professionalità e al gruppo che la rappresenta, il corpo accademico. È noto che se non si pubblica non ha neppure senso partecipare ai concorsi o richiedere fondi di ricerca; le università inglesi, per esempio, misurano il loro successo (e quindi l’entità dei finanziamenti che riceveranno) sulla qualità e sul numero degli articoli scientifici prodotti dai singoli dipartimenti.

Infine, è intorno alla scrittura che il futuro ricercatore costruisce la propria identità accademica in una rete di contatti che ne determinano l’inclusione o anche, in caso di fallimento, l’esclusione.

Dunque "scrivere", come dice Umberto Eco,"è un atto sociale: io scrivo affinché tu che leggi accetti quello che io ti propongo" (1977 : 168) e prima ancora, potremmo aggiungere, affinché chi scrive venga riconosciuto come soggetto legittimo di una stessa comunità di discorso.

Le implicazioni sociolinguistiche di questo approccio si riflettono in diversi modi nel testo scritto: in primo luogo in quelle caratteristiche testuali ed extratestuali che lo definiscono come appartenente a un genere, poi nelle differenze di registro (orale-scritto, alto-colloquiale, formale-informale) e nella scelta delle varietà linguistiche più appropriate, nell’uso dei segnali metadiscorsivi (connettivi, attenuativi, marcatori testuali), nella costruzione/scelta del lessico, nella strutturazione stessa del testo fin dalle scelte tipografiche. [continua]

Note
(1) Abbiamo invano cercato una forma nominale che superasse l’univoco maschile "gli studenti". Avremmo potuto aggiungere ogni volta "e le studentesse" ma ci è sembrato pesante. Il limite sessista della lingua italiana rimarrà evidente in tutto il testo: siamo incluse tra quelle a cui bisogna presentare delle scuse. torna al testo
(2) I dati si riferiscono ai rapporti stilati per la Commissione da Maiworm e Teichler (2000). Bisogna tuttavia tenere presente che sono basati sulle domande approvate, mentre spesso le cifre reali sono molto inferiori a quelle "stimate". Ciò significa che un buon 30% di coloro che hanno presentato domanda per una borsa Erasmus e sono stati accettati nel programma, poi effettivamente non partono. torna al testo
(3) Sulla formazione linguistica cfr. S. Bruni (1994) in particolare il contributo di Zorzi Calò: L’insegnamento dell’italiano per scopi accademici: che cosa è stato fatto e che cosa c’è da fare. Cfr. anche Maiworm e Teichler (2000). torna al testo
(4) Le esperienze si riferiscono in particolare agli scambi Erasmus tra lo Sprachlabor della Freie Universität di Berlino (Bianca Battaggion) e le università italiane consociate e gli scambi tra l’Istituto Universitario Europeo di Firenze (Camilla Salvi) e le università europee nazionali con le quali sono stati avviati accordi particolari. Nel primo caso si tratta di studenti non ancora laureati, per lo più di nazionalità tedesca, principalmente orientati sulle facoltà umanistiche. Nel secondo invece sono in mobilità ricercatori e ricercatrici già inseriti, nel proprio paese, in un programma di dottorato, che deve avere come tema aspetti storici, politici, giuridici o economici relativi all’Unione europea (non sempre, ma spesso legati all’Italia). Sono dunque due esperienze particolarmente significative per il loro carattere di "partenza" e "arrivo" di un possibile percorso accademico transnazionale.torna al testo
(5) In quasi tutte le università europee di cui abbiamo conoscenza (Spagna, Francia, Olanda, Germania, Gran Bretagna) gli esami prevedono una composizione scritta in forma di "tema" o di risposta aperta a domande riguardanti il programma d’esame. torna al testo
(6) Come segnala lo stesso Sobrero nella sua "Prefazione" a Lavinio/Sobrero (1991). torna al testo
(7) Salvo le eccezioni a cui accenneremo in seguito. torna al testo
(8) Ci riferiamo in particolare alle attività del GISCEL e al suo "laboratorio di scrittura" (rif. su web). torna al testo
(9) Una riflessione su queste esperienze si è avuta durante il primo congresso dedicato alla scrittura professionale che si è tenuto a Perugia dal 23 al 25 ottobre 2000, su cui è possibile leggere un commento in Raso (2001 : 26-31). torna al testo
(10) Sulla didattica accademica nelle facoltà umanistiche cfr. Ciliberti/Anderson (1999), sulle difficoltà redazionali è ormai un classico Eco (1977). torna al testo
(11) Ritorneremo in seguito sugli studi di "genre analysis" come riferimento teorico in cui inquadrare queste osservazioni. torna al testo
(12) Cfr. Bourdieu/Passeron/Saint Martin (1965) e l’articolo di Alberoni sul Corriere della sera: Noi figli del qui lo dico e qui lo nego. torna al testo