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Redazione:
Mariadonata Costantini  Elisabetta Jafrancesco  Leonardo Gandi
Massimo Maggini
Fiorenza Quercioli
Camilla Salvi
Annarita Zacchi

Webmaster: Leonardo Gandi

QUADRIMESTRALE A CURA DI

N. 7
settembre-dicembre 2003
numeri precedenti

Insegnanti Italiano Lingua Seconda Associati


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Un curriculum di scrittura per gli studenti Erasmus/Socrates in Italia
Bianca Battaggion, Camilla Salvi [torna alla prima parte]

Che cosa insegnare: suggerimenti e riflessioni
I corsi di scrittura accademica specificamente pensati per studenti stranieri rappresentano ormai una tradizione nelle università anglosassoni e soprattutto nei poli universitari che attraggono un maggior numero di iscritti non native speakers. Dal momento che in Italia, come si è visto, le proposte didattiche sono invece rivolte ai madrelingua, è giusto chiedersi preliminarmente che cosa in particolare differenzi la preparazione degli studenti stranieri da quella dei madrelingua. Possiamo proporre uno stesso curriculum e dunque avvalerci delle esperienze universitarie precedentemente citate o dobbiamo modificare totalmente programmi, esercitazioni e modelli esplicativi? Le finalità e gli obiettivi possono essere gli stessi, e invece i modi per conseguirli altri?

Se osserviamo i programmi dei corsi di scrittura proposti in alcune università italiane (13) noteremo, per esempio, che alle differenze di registro è sempre dedicata una parte consistente dei corsi, in particolare alle differenze tra scritto e parlato, alle varietà e agli stili (accademico, burocratico, giornalistico ecc.) e alle tipologie testuali che in fondo implicano anch’esse il riconoscimento di stili specifici. A questo nucleo di base si aggiungono spesso sessioni "grammaticali" dove, oltre alla correzione e all’analisi delle difficoltà ricorrenti, si tenta anche una descrizione dei famosi punti salienti della morfologia e sintassi della lingua italiana, che tenga conto delle cosiddette norme tradizionali e dell’uso effettivo. Infine una buona parte della preparazione comprende l’acquisizione e l’esercizio di tecniche pratiche, per esempio la riscrittura, la parafrasi e il riassunto – in un numero assegnato di parole - che sono alla base del conseguimento della competenza scritta.

Che cosa deve dare di più o forse di meno un corso specifico per stranieri?

È ovvio che non possiamo trasformare il corso di scrittura in uno di "grammatica per avanzati" anche se gli studenti lo vorrebbero molto e non farebbe male neppure ai madrelingua. Dobbiamo perciò presupporre un buon livello di competenza linguistica generale o rimandare ad altri corsi la sua acquisizione, senza tuttavia eliminare l’approfondimento e la riflessione su quello che della grammatica è strettamente funzionale all’espressione accademica scritta e ne caratterizza la testualitá (14).

È anche possibile che si debba dar di meno: nelle università straniere si è già abituati, per esempio, a strutturare il testo secondo una pianificazione iniziale (c’è quasi sempre una divisione in paragrafi che segue una scaletta ben strutturata, il controllo della rispondenza dei contenuti all’idea guida …) a considerare la grafica come una scelta comunicativa, a saper citare dentro e fuori il testo, a gestire le note.

Quella che manca allo studente straniero è piuttosto una competenza retorica che lo aiuti a formulare in una veste lessicalmente e stilisticamente appropriata i contenuti che vuole comunicare, organizzandoli entro schemi testuali adeguati ai destinatari cui sono indirizzati e agli scopi della comunicazione stessa. Manca inoltre la capacità di stabilire chiaramente le connessioni intratestuali ed extratestuali attraverso l'uso consapevole dei segnali metadiscorsivi che internamente al testo stabiliscono una sorta di dialogo tra scrittore e lettore e differiscono da lingua a lingua. Abbiamo infine notato una insufficiente conoscenza delle forme convenzionali che regolano la pragmatica della comunicazione accademica. Non vogliamo dire che gli studenti madrelingua padroneggino perfettamente questi meccanismi, certamente però avranno vita più facile rispetto a chi è cresciuto e alfabetizzato in un differente contesto.

Rispetto ai programmi dei corsi di scrittura attualmente offerti nelle università italiane dovremo perciò ampliare principalmente tre percorsi:
- quello orientato al riconoscimento e alla produzione dei generi testuali entro i quali la comunità accademica si esprime;
- quello relativo alle differenze di registro, incluse le variazioni lessicali che tali differenze comportano
;
- infine un percorso più specifico che abbia come obiettivo la padronanza degli elementi del testo che guidano l’interpretazione di chi legge (segnali metadiscorsivi).

Come si vedrà in seguito si tratta di tre percorsi in un certo senso paralleli o quanto meno in continuo reciproco richiamo: impossibile trattare i generi senza fare riferimento alle differenze di registro o affrontare la questione dei legamenti interni di un testo senza specificare di quale testo si tratti e di conseguenza del suo essere parte di un genere …

I generi. Abbiamo introdotto il concetto di "genere" a proposito del tipo di testi che gli studenti universitari devono produrre nel corso della loro esperienza accademica. Utilizzeremo questa categoria ricollegandoci alle riflessioni di una serie di studiosi (Swales, 1990; Bhatia, 1993) che ne hanno dato un’interpretazione "operativa" di particolare significato nella prospettiva dell’insegnamento della scrittura. Considerando i generi all’interno delle comunità di discorso che se ne servono e in relazione con le procedure di codificazione e decodificazione attivate a seconda del ruolo del testo e dell’ambiente in cui viene a collocarsi, Swales propone un punto di vista su questo tema che la glottodidattica, per la sua consuetudine pragmatica, è particolarmente pronta a recepire. A questo proposito è interessante osservare come gli studi citati partano proprio dall’insufficienza dell’approccio per "registri" a cui si ispiravano e si ispirano molti dei corsi cosiddetti di "lingua per scopi speciali" che fanno generalmente parte del livello più "avanzato" dei corsi offerti dai centri linguistici. Sebbene indispensabile, come è risultato anche nella nostra esperienza, "questo tipo di analisi privilegiano troppo una omogeneità di contenuti a scapito della variazione negli scopi comunicativi, del rapporto tra emittente e destinatario e delle convenzioni di genere" (Swales 1990 : 2). Dal punto di vista didattico dobbiamo allora integrare il contributo delle analisi microlinguistiche nel contesto più ampio della considerazione dei generi e del loro insegnamento. Per realizzare questo obiettivo è importante capire in che modo il madrelingua apprende i generi. Mortara Garavelli (1991 : 10) parla di "assimilazione" definendo i generi "intuizioni ben salde nella coscienza comune. Chi ha assimilato le convenzioni culturali che regolano gli scambi comunicativi della comunità linguistica cui appartiene sa che a certe condizioni, in un dato ambiente ecc. un discorso pronunciato in pubblico su un dato argomento è una relazione " (p.10). Non è un caso che la "genre analysis" ricorra su questo tema alla psicologia cognitiva e al modo in cui le nostre conoscenze vengono organizzate nella memoria attraverso schemata di contenuto e schemata formali, detti anche scripts, frames o routines (Swales 1990 : 83-92). L’acquisizione dei generi "accademici" avviene attraverso il successivo stratificarsi nella memoria di modelli retorici estrapolati dalla lettura dei testi relativi alla disciplina di studio. La conoscenza dei meccanismi cognitivi che guidano queste procedure ha aiutato gli insegnanti a fare della lettura un’attività sempre meno passiva accompagnandola a specifiche forme di lavoro sul testo che lo anticipano, lo sezionano nella sua struttura schematica, lo classificano individuando le parti che ne caratterizzano le finalità. Ma che cosa succede a chi non ha potuto assimilare quei modelli retorici e le relative convenzioni culturali perché cresciuto entro altre convenzioni, quelle della comunità linguistica cui appartiene? Da un lato dovremo facilitare la costituzione di quegli schemi attraverso la lettura e la riflessione su testi marcati secondo i generi di appartenenza. Dall’altro è la prospettiva interculturale a offrire un contributo decisivo: partendo dal confronto tra modelli, norme e convenzioni delle differenti comunità di origine in una sorta di retorica contrastiva si creano le condizioni per accettare la molteplicità dei diversi costumi linguistici. È il primo passo verso quella dimensione extratestuale che caratterizza la definizione dei "generi" la cui consapevolezza e padronanza sono alla base della competenza accademica scritta.

Le differenze di registro. Insegnare le varietà della lingua in rapporto all’uso non è semplice: su questo terreno la dimensione retorica e interculturale, con cui gli studenti hanno acquisito familiarità durante il percorso sui generi, può diventare una componente nuova e motivante. Non tutte le lingue per esempio conoscono una così grande differenziazione tra lingua scritta e lingua parlata come l’italiano: partire da una riflessione su questo tema (come viene fatto anche nei corsi per italiani, per esempio dal Sis di Venezia) è tanto più importante in un gruppo di studenti stranieri in quanto il più delle volte la lingua da loro posseduta è fortemente caratterizzata dall’impronta del parlato che viene riprodotta senza scrupoli nei testi scritti. "Senza scrupoli" si riferisce al fatto che spesso, quando si scrive in una lingua differente dalla propria, ci si sente più liberi, quasi autorizzati a non rispettare completamente le regole formali, come se il rapporto tra le idee e la loro espressione scritta potesse risultare più diretto e genuino. È vero che il lettore è più tollerante nel leggere il testo di un non madrelingua e lo studente che deve essere giudicato (nella prova di esame o nella valutazione di una relazione seminariale) conta molto su questo fattore "comprensione", ma non se ne può fare una norma, né tanto meno considerare questo aspetto durante i corsi. Al contrario deve essere sempre sottolineato con evidenza che cosa è accettabile e che cosa non lo è proprio perché la consapevolezza e di conseguenza la competenza sono rafforzate da un’informazione completa e strutturata.

Gli esercizi che proponiamo consistono spesso nel trasformare in testi scritti trascrizioni di interviste radiofoniche su temi specifici, dove non sono protagonisti personalità del mondo della cultura o della politica, bensì cittadini comuni chiamati a esprimere la propria opinione su un argomento di cui non hanno avuto precedentemente avviso (15). Nella riformulazione gli studenti sono invitati a ristrutturare il testo disconnesso e frammentario delle interviste in un documento coerente ed efficace le cui coordinate di "genere" sono state chiaramente suggerite preventivamente dall’insegnante.

La manipolazione e la rielaborazione dei testi a seconda delle varietà con esercizi di trasformazione da un registro all’altro e il confronto di testi con taglio diverso, costituiscono un’altra utile forma di addestramento su cui l’educazione linguistica per madrelingua propone da tempo prove e suggerimenti riutilizzabili nei corsi per studenti stranieri.

Una parte consistente delle attività di questo percorso riguarda le variazioni lessicali che l’assunzione di differenti registri richiede. A questo scopo è necessaria una buona base di testi delle materie di studio dei partecipanti: articoli, estratti da saggi, recensioni, voci di dizionari. Su questi testi gli studenti dovranno individuare gruppi e famiglie lessicali specifiche, classificandone morfologicamente gli elementi ed eventualmente raggruppandoli in sottoinsiemi del campo semantico relativo all’argomento affrontato (16). Si tratta di ricostruire la mappa concettuale di partenza, una sorta di esercizio nella direzione inversa rispetto all’associogramma, spesso usato nei corsi di scrittura durante la fase della raccolta delle idee (17). Per aggirare il carattere passivo di questo tipo di esercizio è utile cominciare proprio da un associogramma nella lingua madre, che abbia come partenza una delle parole chiave precedentemente individuate nel testo. Il confronto con la lingua di origine, seppure complicato in un gruppo multilingue, offre però una grande potenzialità interculturale e rappresenta il plus di un corso rivolto a non native speakers: la possibilità cioè di diventare consapevoli che ogni scelta lessicale deve essere ricondotta alle caratteristiche microlinguistiche proprie di quel settore e della comunità discorsiva che si esprime in esso, esattamente come accade nella propria lingua. L’esemplificazione di differenti contesti d’uso di uno stesso termine nella lingua madre e la spiegazione in italiano dei singoli casi oltre ad essere un grande arricchimento per il gruppo e per l’insegnante stesso, aiuta gli studenti a percepire le differenti sfumature di significato, le variazioni contestuali anche nella lingua 2 e a evitare le frequenti improprietà che derivano da un inconsapevole uso del dizionario.

Segnali metadiscorsivi. Con segnali metadiscorsivi intendiamo quegli aspetti non proposizionali del discorso che si riferiscono esplicitamente alla sua organizzazione e alla posizione dello scrittore nei confronti o del suo contenuto o del lettore (Crismore e Farnsworth 1990; Hyland 1997). Sono inclusi perciò tutti i meccanismi di connessione, gli indicatori di atteggiamento dell’autore, i riferimenti al pubblico. Sia Crismore e Farnsworth che più recentemente Hyland distinguono tra marcatori sul piano referenziale (marcatori testuali) (18) che guidano il lettore nella comprensione della struttura e contenuto del testo e marcatori sul piano espressivo (marcatori interpersonali) (19), che mostrano la posizione dell’autore e il suo atteggiamento nei confronti di chi legge. Abbiamo introdotto questa distinzione perché abbiamo osservato nella nostra esperienza che mentre dei primi era possibile un insegnamento più logico-oggettivo anche per la fase di produzione, per quanto riguarda i marcatori interpersonali, più interattivi e valutativi, dovevamo affrontare un discorso interculturale forse meno tecnico, ma certamente più ricco di implicazioni sul piano della consapevolezza e quindi della capacità futura di rendere i propri testi più efficaci. Gli studenti stranieri di area anglosassone tendono per esempio ad assumere una posizione molto più esplicita, mostrandosi con evidenza come registi del proprio lavoro scritto. Gli studenti italiani invece nascondono la propria presenza adottando uno stile impersonale, o viceversa la esaltano in funzione autopromozionale (Caffi 1991: 75) (20). Dobbiamo allora insegnare a conformarsi a quest’ultimo modello perché rappresenta la consuetudine dello standard accademico italiano? Abbiamo pensato che se si sceglie di lavorare in una prospettiva interculturale si deve cercare di rinunciare alle inclinazioni normative in favore di una sorta di "socratica" sollecitazione di consapevolezza. Dobbiamo insegnare agli studenti a essere coscienti degli effetti di ogni singola scelta proponendo loro diverse alternative testuali e riflettendo collettivamente sull’opportunità dell’una o dell’altra in relazione ai destinatari, agli obiettivi della comunicazione, al contesto generale in cui è collocato l’evento comunicativo.

Queste considerazioni riguardano naturalmente non solo la questione dei marcatori, ma più complessivamente la progettazione del testo stesso in ogni sua componente e tutti quei meccanismi che codificano le relazioni tra le idee e ordinano il materiale nei modi che il potenziale pubblico troverà appropriati e convincenti.

Conclusioni
Ci siamo chieste all’inizio del paragrafo precedente se ci fossero differenze tra insegnare la scrittura a studenti madrelingua o a studenti stranieri con una accertata competenza linguistica generale. Una delle prime conclusioni che possiamo trarre è che sostanzialmente non ce ne siano molte se intendiamo l’insegnamento della scrittura come avviamento alle pratiche comunicative di un gruppo specifico che abbiamo definito "comunità di discorso". La differenza, come si è visto, è rappresentata in realtà da un vantaggio: il corso per non madrelingua offre infatti più opportunità di tematizzare la comunicazione scritta come un’attività che mette in relazione confrontandoli "usi linguistici e mondi esperenziali inevitabilmente diversi per le differenze sociolinguistiche e culturali che caratterizzano, di solito, i parlanti anche della stessa lingua" (Pallotti 1999: 4). Il problema, di madrelingua e non, non è solo la correttezza formale della lingua che viene usata, quanto l’incapacità di gestire il discorso per i fini comunicativi che la situazione richiede. Da un lato quindi dovremo convincerli dell’importanza di esplorare con attenzione il contesto entro il quale la comunicazione scritta ha luogo. Ciò significa individuare i destinatari e formulare ipotesi circa le loro aspettative, sia quelle personali, sia quelle socialmente marcate per il ruolo "istituzionale" che essi svolgono. Dall’altro si tratta di sensibilizzare gli studenti agli effetti e alle strutture retoriche che tendono a ricorrere in testi appartenenti a generi specifici: l’insegnamento è qui rivolto a imparare strategie di lettura, di analisi, a discutere testi, a offrire esempi prototipi dei generi rilevanti, a far emergere consapevolezza (Swales 1990: 215) su quanto la considerazione di questi fattori sia determinante per essere ammessi e accettati nel mondo accademico di riferimento.

Note
(13) I programmi sono stati distribuiti durante la presentazione dei corsi in occasione del convegno di studi dedicato alla scrittura professionale che si è tenuto a Perugia (cfr. Nota 9).torna al testo
(14) Per esempio la subordinazione, l’uso del gerundio, dei connettivi cfr. Serafini (1992 : 175-207). torna al testo
(15) Si tratta per esempio di interviste a passanti sui più svariati temi di attualità.torna al testo
(16) Cfr. gli esercizi presentati nel convegno di Siena e Corda/Marello (1999).torna al testo
(17) Cfr. Serafini (1992 : 17-36), Della Casa (1994 : 177-279) che ne suggerisce tuttavia una razionalizzazione e i numerosi altri esempi presenti nei manuali di scrittura e in quelli di educazione linguistica adottati nelle scuole.torna al testo
(18) Comprendono i connettivi logici, i marcatori che si riferiscono ad altre parti del testo o ad atti del discorso ("per ripetere", "cerchiamo"), i modi per introdurre le fonti dell’informazione ("secondo X,Y…", "Z afferma che ….).torna al testo
(19) Tra cui gli "hedges", attenuativi o mitigatori, i marcatori che enfatizzano la certezza di chi scrive, i marcatori di atteggiamento, quelli di relazione che si riferiscono esplicitamente al lettore o, viceversa, all’autore.torna al testo
(20) Questa tendenza è confermata dai risultati di una analisi, ancora in corso di elaborazione, sui progetti di ricerca presentati per l’ammissione al programma di dottorato dell’Istituto Universitario Europeo.torna al testo

Bibliografia
Alberoni F., Noi figli del "qui lo dico e qui lo nego", "Corriere della sera" (1992)
Bhatia V.K.(1993), Analysing Genre, Longman, London and New York
Bourdieu P., Passeron J.-C., Saint Martin M de (1965), Rapport pédagogique et communication, The Hague, Mouton et Cie, Paris, Ecole Pratique des Hautes Etudes
Bruni, S. (a cura di) La formazione linguistica degli studenti Erasmus in Italia, Atti del seminario permanente dei centri linguistici, Università per stranieri di Siena
Caffi C. (1991), Aspetti pragmatici e testuali delle introduzioni a tesi di laurea e specializzazione in aterie scientifiche, in Lavinio/Sobrero (1991)
Ciliberti A, Anderson L. (1999) (a cura di), Le forme della comunicazione accademica, Franco Angeli, Milano
Corda A, Marello C. (1999), Insegnare e imparare il lessico, Paravia, Torino
Crismore A, Farnsworth R. (1990), Metadiscourse in Popular and Professional Science Discourse, in W.Nash, ed., The writing scholar: Studies in academic discourse, 118-136, Newbury Park, CA: Sage
Della Casa M. (1994), Scrivere testi, La Nuova Italia, Firenze
Eco U. (1977), Come si fa una tesi di laurea, Bompiani, Milano
Hyland K. (1997), Persuasion and context: The pragmatics of academic metadiscourse, "Journal of Pragmatics" 30 (1998): 437-455
Lavinio C., Sobrero A. (1991)(a cura di), La lingua degli studenti universitari, La Nuova Italia, Firenze
Pallotti G, (1999)(a cura di), Scrivere per comunicare, Bompiani, Milano
Raso T. (2001), La scrittura a congresso, "Italiano e Oltre", 1: 26-31
Serafini M.T. (1992), Come si scrive, Bompiani, Milano
Swales J.M., (1990), Genre Analysis, Cambridge University Press